mercoledì 20 febbraio 2013

Solo tre storie

"Abbiamo finalmente trovato il tuo sostituto!" mi ha scritto A. qualche settimana fa, salvo poi aggiungere che "in realtà ne abbiamo dovuti prendere due part time, ma non riescono a star dietro a tutte le tue pratiche, quindi stiamo messi peggio di prima".
Quale migliore occasione, quindi, per tornare in quel di Parma, con la scusa dei crediti formativi e farmi delle grosse e grasse risate alle spalle del mio (tirchiosissimo) ex capo?!
I rientri nel mio vecchio ufficio hanno sempre un sapore particolare, come quelli nel paese natio a distanza di qualche anno. Trovi sempre qualcosa di nuovo: fascicoli, stampanti, pc oppure la tua vecchia scrivania spostata in un'altra stanza, che lí per lí ti girano anche un pó i gioielli di famiglia, quantomeno per l'indiretta alterazione delle percezioni extrasensoriali. Cosí, in una molto poco romantica mattinata di S. Valentino, dopo ben tre scampanellate, ecco pararmisi davanti il mio sostituto, Vito. SiculoSiculo, per intenderci. Tanto che sulle prime credevo di aver davanti il Ficarra del duo comico Ficarra&Picone, in versione un pó depressa peró. Credo di averlo già visto qualche secolo fà ai tempi dell'università, triste uguale, solo in versione studentesca anzi che forense. Il "nuovo me" è sempre stanco, trangugia kilate di M&Ms e fa le endovene di caffè. Questo, temo, a causa delle proprie insane abitudini alimentari. O forse bisognerebbe dire disabitudini, intese come implicazioni dell'essere vegano. Io vengo dalla campagna sarda, ergo la prima volta che ho sentito dire Vegan ho abbozzato una faccia interrogativa e sono corso su Wikipedia in cerca di verità assolute. Lí per lí pensavo che un Vegano fosse l'abitante di un pianeta esterno al sistema solare o il figlio ignoto di Don Diego De La Vega, alias Zorro. Invece è un integralista alimentare, che non mangia nessun tipo di carne o di pesce e tollera a malapena formaggi e latticini. Chiudo gli occhi ed immagino cosa sarebbe la mia esistenza senza controfiletto di manzo, porcetto arrosto, frittura di calamari, spaghetti con le vongole ed altre prelibatezze affini, vedendo materializzarsi davanti ai miei occhi una vera e propria catastrofe. Morirei sano, forse, ma sicuramente non camperei sazio. "Questione di scelte personali"ripeto tra me e me come un mantra prima di cedere all'inevitabile voglia di conoscenza e chiedere al mio interlocutore "Cosa ti ha spinto a fare questa scelta?!" E lui, quasi offeso "Ho un coniglio domestico che amo con tutto me stesso e che alle sei di ogni mattina faccio zompettare in giro per casa..." breve pausa "ed io ho molto rispetto per il mio coniglio.." ancora pausa "non riuscirei mai mangiare un suo simile."
Dopo siffatta affermazione le mie sinapsi neurali davano origine a due immagini ben distinte: nella prima immaginavo il coniglio ingabbiato, me che dormivo e la sveglia che continuava a suonare ben oltre le 6 antelucane; nella seconda, ben piú splatter, c'era mia nonna che sotto Pasqua, dopo aver prelevato dalla gabbia il piú pasciuto dei discendenti di bugs bunny gli tirava il collo e lo infilava in pentola, con buonapace dei cuori teneri della nostra famiglia. Il resto della giornata filava via sui binari dell'ordinarietà, fintanto che non risalivo sul treno che mi avrebbe riportato a casa. Poco prima di Piacenza una ragazza di circa 25 anni mi chiedeva lumi sul capotreno, spiegandomi di essere salita a Fiorenzuola senza biglietto e di volerlo fare al piú presto per evitare la multa. Quí metterei un bel fermo immagine, per sottolineare la mia innata tendenza a complicare le cose. "Non ti preoccupare" esclamavo "nel caso passasse il capotreno gli diró che sei appena venuta sú e lo stavi cercando" Ora mi pare doveroso premettere che circa trenta secondi dopo costei mi si è letteralmente fiondata addosso, nonostante io non assomigli nemmeno un pó a George Clooney ed abbia una voce suadente solo da raffreddato, ma tant'è... Insomma, per farla breve: essere abbordato a trenta da una di venticinque è davvero imbarazzante, soprattutto nel momento in cui lei ti afferra affettuosamente per un braccio chiedendoti di sederle accanto o inizia a tempestarti di domande sulla tua vita privata. Domande a cui io rispondevo con monosillabi dall'effetto contario a quello voluto: nel senso che le aspettative di mettere il discorso in ghiaccio cozzavano col sempre piú caloroso entusiasmo della mia vicina di posto. Va anche detto che era carina, almeno per quanto concerne i miei canoni estetici. Minuta ed aggraziata, occhi e capelli scuri, una di quelle bellezze sottovoce che non tramontano mai. Per contro, era fuori come un balcone. Ad un certo punto, dopo avermi raccontato del suo gatto Rasputin, mi ha domandato quanti anni avessi..."Trenta!" ho esclamato, e lei "Ma allora non sei piú di primo pelo!". Quí ho perso le parole, perchè di fronte ad una risposta simile non ci sono reazioni che tengano. Mi hanno dato dello stronzo, dell'opportunista e del cinico. Qualcuna ha detto che ero brutto ed alle medie, dopo l'ora di educazione fisica, credo che la mia compagna di banco mi avesse chiamato puzzone. Ma del vecchio no, quella proprio mi mancava. Notando l'esterrefazione prender possesso del mio volto, lei sferrava l'attacco finale, iniziando ad accarezzarmi il braccio ed a rassicurarmi dicendo che non intendeva dire quel che io pensavo. I rimanenti venti minuti di viaggio trascorrevano con me compresso in meno di metà sedile, lei che cercava di essere "empatica" ed una signora sulla cinquantina che seduta di fronte a noi osservava esterrefatta la scena. Inutile dire che arrivati alla mia fermata sono praticamente sceso dal finetrino, con la mia alquanto orginale compagna di viaggio che, telefono alla mano, dava tutta l'impressione di volermi chiedere il numero, mentre cercavo con molto poco garbo, di guadagnare una via di fuga. Cose simili possono capitare solo a me, soprattutto nel momento in cui sono strafidanzato, tanto per alzare il tasso percentuale d'imabrazzo. Last but not least ci metterei pure la simpatica scenetta della sera successiva, per completareil quadretto. Cenetta al giapponese per me e la mia dolce metà, dopo 350€ regalati al dentista e le balle decisamente in giostra. Troviamo subito posto, col cugino povero di Jackye Chan che nonostante la mega ressa ci trova uno striminzito tavolino per due in mezzo ad un altro trilione di copie. Un oretta dopo il nostro arrivo ecco sedercisi accanto una COOPPIACOOAATTAA DOC, munita di cane sorcio. Lei tutta leopardata con minigonna inguinale e tatuaggi fin sui seni paranasali. Lui un autentico armadio, due metri per 130kg di muscoli, sopracciglia rifatte, catenazza mod. Suino al collo e colorito violaceo da sovraesposizione a lampada UV. I tratti di lui tradivano un che di scimmiesco, come quegli ominidi ancora mezzo incurvati che precedevano l'Homo Sapiens. Vabbè, poco me ne sarebbe fregato di tutto ció se non ce li avessero piazzati di fianco, meno di venti centimetri per esemplificare, col cane sorcio che veniva in trasferta sotto il nostro tavolo. Perchè ad un certo punto nell'estendere la gamba sinistra a causa di un crampo caricavo i miei 80kg sulla coda di gianduia (poveretto, nonostante fosse bianco l'avevano chiamato cosí) causando un ugolato da parte della bestiola ed uno sguardo assassino da parte dell'uomo di CroMagnon. Gli facevo un bel sorriso da stronzo, pronto a dargli una sediata in testa e guadagnare l'uscita prima che si riprendesse. Fortunatamente, Capitan America tirava a se il cane e lo metteva sul lato del corridoio, con enorme fastidio dei camerieri gnappi. Gianduia non tornava piú sotto alle mie suole e siccome ricordavo bene la scena di Fantozzi, la Silvani e Pierugo alla cena giapponese, decidevo, per quella sera lí, di attenermi al sushi e lasciar stare il coniglio, tanto per restare in tema.

martedì 5 febbraio 2013

Di tristi finali

Pare che F. si sia sparato un colpo in testa. Fanno 43 caratteri, spazi inclusi. Un modo insolitamente stringato per dare una notizia tanto forte. D'altronde la mia ex collega non è mai stata un mostro in fatto di senso dell'opportunità. Perchè a pagina dodici del manuale del "question of timing" è chiaramente prescritto che certe infauste novelle meriterebbero quantomeno una telefonata, possibilmente lontano dai pasti.
Lui era un magistrato del Tribunale, tra i più bravi che avessi mai conosciuto, di quelli che danno del tu ad ogni singola norma del codice e rendono anche una semplice ordinanza un piccolo capolavoro giuridico.
Era sarcastico S. ma mai banale. Una mattina, di fronte al mio ormai ex capo che chiedeva a voce di essere sostituito da me per sopraggiunti impegni, rivolgendosi verso il cancelliere esclamava "Sia dato atto che l'Avv. X presente in aula, ma solo in forma olografica, nomina come proprio sostituto processuale..."
Era un personaggio particolare, di quelli che sembrano venuti fuori da un film di Oliver Stone e che, una volta, venivano definiti come uomini tutti d'un pezzo.
Anche per questo mi è difficile comprendere le ragioni sottese ad un gesto tanto estremo, soprattutto quando è uno dei pochi vincenti che io conosca a cercare il bottone trash per tirare la riga su una vita di successi.
Vado indietro con la memoria in questi giorni, alla ricerca di un qualche indizio che potesse razionalmente motivare quanto accaduto, ma non lo trovo. O forse si, ma in maniera  fallace, da assoluzione con formula dubitativa per intenderci, giusto per eviscerare la questione sotto il profilo tecnico.
Mi chiedo se allora certe cose accadano e basta, magari perchè ad un certo punto le spalle di un uomo che sembrava invincibile, trovino eccessivamente gravoso il fardello che la vita, con scarso preavviso ti mette addosso.
Ma queste sono solo facili disquisizioni filosofiche.
Anni fa, in circostanze analoghe, si era tolto la vita un mio coetaneo. Non lo conoscevo abbastanza, o meglio, lo conoscevo molto poco. Era l'amico decisamente originale di un ragazzo che occasionalmente usciva col mio gruppo. Sapevamo che aveva sofferto per alcuni problemi di natura psichica, sapevamo pure che qualcosa in lui non funzionava perfettamente, ma con la superficialità dei vent'anni non avevamo mai preso la cosa troppo sul serio.
Finchè una mattina dopo una lezione di procedura civile ho saputo che si era buttato dal terzo piano di un palazzo, lasciando una lettera particolarmente avara di spiegazioni.
Ad un anno dalla scomparsa, i genitori ed alcuni amici, per ricordarlo, avevano organizzato una cena, durante la quale alcuni dei partecipanti avrebbero potuto leggere le poesie che questo ragazzo, negli anni, aveva scritto.
Sul palco si erano succedute diverse persone, tra cui una cover band di alcuni suoi amici ad intonare alcune delle sue canzoni preferite.
Mi ero sentito un pò a disagio se devo esser franco. Alcuni dei brani letti mettevano troppo a nudo il disagio e, a dirla tutta, qualcuno  sembrava cercare più la consacrazione personale che un ricordo del ragazzo.
Tuttavia, verso la fine, forse la madre o chi per lei, recitava una poesia che per certi versi sembrava riassumere il senso della vita. Si concludeva con un pensiero molto semplice e molto delicato, che ancora oggi, nei momenti peggiori, cerco di far mio. Sopra ogni dolore può nascere un Fiore.