martedì 14 gennaio 2014

A casa di Marco


Che Silvia Salemi ed il suo amico Luca in questo post c'entrino ben poco è un dato di fatto. In fondo la casa non da sul mare ed i partecipanti alla festa più che suonare canzoni si limitano a fare baccano.
Le feste a casa di Marco hanno sempre un che di memorabile, non fosse altro per il fatto che si entra da bipedi e si esce da quadrupedi.
La circostanza che la sua dolce metà venga dalla Siberia e che vanti un avo generale dell'armata rossa è indicativa di quelle che andranno a essere le gerarchie della serata, con lei a menare le danze e noi che senza successo proviamo a divincolarci.
L'evento in se da una decina d' anni a questa parte vive di personalissime costanti matematiche. La netta sproporzione tra alcool e cibo, col primo in netta prevalenza sul secondo, la compresenza di due soggetti che non reggono l'alcool ed il tentativo, finora sempre abortito di accoppiare F. con la single di turno attirata alla festa coi più biechi tranelli.
Il mio ingresso in scena ha sempre un non so che di anni novanta, forse per la bottiglia di prosecco in una mano e la torta nell'altra o più semplicemente in relazione al fatto che negli anni novanta, appunto, immaginavo che i miei arrivi alle occasioni mondane si sarebbero svolti con queste esatte modalità.
Come una buona percentuale delle persone che conosco Marco è una meravigliosa contraddizione in termini. E'un decisionista che sta con una donna che lo tiranneggia. Vorrebbe una famiglia ma antepone le di lei esigenze professionali a questa personale aspirazione. Ama la guida sportiva ed ha comprato un suv. Forse dovrei anche aggiungere che fa finta di essere completamente a proprio agio in una vita che qualcun altro ha costruito per lui, descrivendo come personalissime vittorie i diktat che quotidianamente piovono sulla sua testa.
La casa ha un salone centrale, con due divani a formare una sorta d'insenatura ed un tavolo color noce  a chiudere i giochi, con poco cibo al centro e tanto alcool ai lati.
Al centro della stanza troneggia una scultura di bronzo dalla forma incomprensibile, acquistata ad un prezzo folle in una pretenziosa galleria d'arte. Nessuno  ha mai capito cosa significhi, tutti invece si son resi conto che è costata uno sproposito, quantomeno in relazione all'oggettivo carico di bruttezza che possiede.
Noi siamo sempre i soliti. F. che versa da bere, Riccardo che urla ed il buon Dado che racconta, quasi estasiato, del suo ultimo sport estremo, mentre tutti  girati dall'altra parte fingiamo di non sentire, consci del fatto che se gli si desse corda, sarebbe capace di tirare dritto per ore, col malcapitato interlocutore che sarebbe rinvenuto qualche secolo dopo completamente mummificato da una spedizione archeologica introdottasi nell'appartamento.
Di base facciamo casino. Come sempre. Nel senso che facciamo battute decisamente sconvenienti e bersagliamo gli amici della padrona di casa, che in quanto sue promanazioni riteniamo apertamente ostili.
Inutile dire che il nostro preferito è un tizio palesemente gaio (ma che si autoproclama etero convinto facendo su e giù con la manina) che gira per la stanza a scattar foto a tutti. Soprattutto a Riccardo. Che prudenzialmente dopo aver lanciato degli sguardi assassini si appiattisce contro il muro, tra  i nostri commenti non proprio Oxfordiani all'indirizzo del fotografo e le occhiate assassine della fidanzata del padrone di casa. Che, diciamocelo, sta proprio antipatica a tutti, direi quasi di default.
Una certa teoria mia e di Riccardo ipotizza che sia una sorta di killer silente del Kgb infiltrato tra noi. Uno di quei cloni con nanotecnologie e manipolazione mentale che si attiva pronunciando una parolina magica. Una notte ho sognato che dopo aver pronunciato la parola "Prugne" cominciava a farci fuori tutti quanti e da quel momento ho smesso di mangiare la frutta, quando vado a cena a casa loro. La peculiarità della serata è che lei ed il  suo fegato da marinaio delle molucche girano tra gli ospiti con un superalcolico sempre diverso, così che lo stomaco diventa un mixer, le budella si contorcono e la situazione alcolica vira pericolosamente da "allegrella" a "vomitella" nel volgere di pochi attimi.
Inutile dire che le vittime predestinate di questo atroce destino si chiamano Mario e Sara. Lui è un fighetto ante litteram, di quelli che parlano con la "erre" da gargarismo ed hanno le pantofole in cervo e cachemire. Lei è bruttarella e noiosetta, come quasi tutte le amiche della padrona di casa. Entrambi hanno una tremenda caratteristica: quella di volersi omologare agli usi e costumi del posto. Lui per piacioneria, lei per mera disperazione. Dopo un po' spariscono tutti e due. Lui in terrazza con una psicologa mentalmente instabile, lei nell'unico bagno di casa. Mezz'ora dopo esserci prefigurati una scena hard tra lui e la psicologa, consumata sotto un cielo stellato, veniamo smentiti dalla signora del piano di sotto che, infuriata scampanella tre volte prima di accusare gli astanti con un "Qualcuno ha vomitato sul mio stendino!"
Pochi metri più in là, Sara ha avuto un altrettanto emetico destino e le amiche, accalcate sulla porta del bagno si interrogano se non sia il caso di chiamare oltre a una squadra di decontaminazione, anche un bravo esorcista.
Come da copione, anche F. il nostro single perpetuo aveva seguito lo schema della serata. Riccardo, che più che un amico è un'agenzia di appuntamenti, si era presentato con tale Teresa, una morettona di 1 metro e 85 amica di piscina  della sua dolce metà. Va doverosamente premesso che i personaggi femminili introdotti da lui hanno, negli anni, seguito dei percorsi per così dire tragicomici.
Ed anche stavolta, quando la cosa tra i due sembrava aver preso la piega ideale, con un parlare fitto fitto e risate d'intesa ecco l'inghippo. Manifestatosi sottoforma di un'imbucato,  invitato a tradimento da Teresa e palesatosi attorno a mezzanotte. Un mitomane bello e buono, che tra le altre cose credo si sia vantato di aver assaltato un treno carico d'oro assieme a suo nonno, Pablo Escobar e Bugs Bunny. Confesso che per come era abbigliato mi è venuta una certa nostalgia, in quanto portava un montone uguale uguale a quello che aveva mio nonno nelle foto degli anni settanta. Vista la mise da film poliziottesco dei tempi che furono  è sorto subito in noi il sospetto che fosse un topo d'appartamento venuto in perlustrazione, così che dopo mezz'ora lo abbiamo riaccompagnato neanche tanto gentilmente all'uscita.
Il resto della serata potrebbe condensarsi in una serie di persone alticce che cercano di svincolarsi da una serata nata male e finita peggio.
L'anno prossimo, quando sarà il momento di riproporre l'evento, Marco commenterà dicendo che le feste a casa sua sono sempre indimenticabili. Stavolta non  potrò contraddirlo. Dato che alla prossima assemblea di condominio il provare a impedirle sarà il primo punto all'ordine del giorno.




martedì 30 aprile 2013

Tradizioni, carissime tradizioni.

I miei occhi carichi terrore e rassegnazione corrono tra le colonne del foglio excel dedicato al mese di Aprile, martoriato da capitoli di spesa fino a qualche tempo fa inimmaginabili.
Quest'anno solare mi cuccherò qualcosa come cinque matrimoni, con buonapace dei propositi d'austerity maturati tra la fine del 2012 e l'inizio del nuovo lustro. La palma d'oro dello sperpero sento di doverla assegnare a C. che in meno di un mese ha deciso di condensare laurea e nozze, infilando in mezzo a questo meraviglioso ensemble di regali anche un sontuoso addio al celibato, con tanto di gara dei Go-Kart a spese degli amici più stretti.
Tradizione vuole che ogni laurea sia celebrata con una sbronza in pompa magna, di quelle con ingresso leonino la sera prima e modalità zombie nel day after. Peccato che nonostante la certificazione anagrafica dell'età della ragione, non siamo ancora in grado di capire che i margini di recupero rispetto ai nostri anni ruggenti si siano drammaticamente  ridotti.
Del regalo si occupa immancabilmente F. che  vanta una convenzione occulta col Mediaworld o, alternativamente, con lo store di Ralph Lauren. Per i compleanni compra una polo, maniche corte o lunghe a seconda della stagione, per le lauree qualche gadget ad alto contenuto hi-tech o presunto tale.
Stavolta, dopo un breve e concitato gabinetto di guerra la scelta è caduta su di un tablet "pure Google experience" perché la roba di mamma Apple costava decisamente troppo e matrimonio ed addio al celibato divoreranno altri soldi. Nemmeno un pacchetto regalo, per il povero festeggiato, ma solo una busta (riciclata) proveniente -manco a dirlo- dallo Store di Ralph Lauren. Questa però è un'altra storia.
La mia comincia alle cinque di pomeriggio di un sabato di fine aprile, con una cronica indecisione tra giacca grigia e blazer blu e centotrenta chilometri d'autostrada da fare under the rain, sulla Jeep che più vintage non si può ed un ritardo, per così dire cosmico. I mezzi con trazione posteriore e ponti rigidi non sono fatti per andare in autostrada sotto la pioggia, a meno che chi li conduce non sia amante delle emozioni forti. E questo non è il mio caso. Fatto stà che sui curvoni praticamente si naviga, strambando con lo sterzo e percependo una sottile vocina che ripete "Ehi ciccio sorridi, stai per vedere un sovrasterzo!"
L'appuntamento, con gli altri, non poteva che essere in piazza nella mia vecchia e amata città un'ora e mezza dopo.
Il protocollo esige che il neodottore scelga una delle quattro strade che da lì si dipartono ed inizi a battere a tappeto tutti i bar, pub ed enoteche, finchè non si approssimi uno stato neurovegetativo che i più sono soliti chiamare coma etilico. Ai tempi d'oro c'era anche la tradizione di smutandare il poveretto e truccarlo o, come accaduto al sottoscritto, costringerlo a girare per il centro con un bambolo gonfiabile. Ma adesso si sa, siamo persone adulte e rispettabili e certe cose non ci sogniamo neanche di farle. La scelta è poi caduta sulla via dei fighetti e della movida, tanto perchè se devi fare l'asino, almeno vai dove puoi scandalizzare qualche perbenista. C'è sempre un mix di arroganza e circospezione nel momento in cui si cerca il primo locale da cui dare il via a certe serate. Via Farini è qualcosa di simile ad un piccolo fiume, che terminata la prima fila di portici fà una specie di curva dell'addio alle feste, segno eloquente di un'interruzione seppur temporanea dei locali coi tavolini all'aperto



Che sia estate od inverno la strada inizia a brulicare d'umanità verso le sei e mezza, nella celebrazione di un rito dell'aperitivizzare che a certe latitudini è molto più apparire che essere. Ogni locale ha una sua piccola storia, che in qualche modo lo caratterizza. C'è l'enoteca di chi vuole darsi assolutamente un tono, dal nome spagnoleggiante e con delle botti al posto dei tavolini. Quasi di fronte la pizzeria-lounge-bar di un ex personaggio quasi famoso, meta ideale di tutti quelli che con assoluta ineleganza, cercano con risolutezza le luci della ribalta. Poi due ristoranti-gioiellerie, di cui uno con vista cucina sulla via affollata. Le facce in quest'angolo di mondo sono sempre quelle. Comparse non pagate di uno spettacolo destinato a ripetersi immutabilmente uguale a se stesso. Da dieci anni sostano nello stesso locale, sullo stesso tavolo e sorseggiano lo stesso drink, con la sedia a favore di pubblico ed un suadente saluto in canna per chiunque osi guardarli. Al sesto o settimo ciao optiamo per l'enoteca più antica della via, dove trovi ancora degli over 70 duri e puri dal naso rubicondo e dalle transaminasi alle stelle. Prima rosso, poi di nuovo rosso e poi prosecco. Quando andiamo a riporre i calici, anzi che dirigerci verso il bancone, traditi da M., prendiamo tutti la via di una piccola mensola attaccata al muro d'ingresso. La cameriera ci guarda strabuzzando gli occhi e farfugliando un bel "maccheccazzz" alla solerte collega che annuisce.  E' in quei momenti che alle persone come me vengono le cosiddette idee del piffero. Perchè l'innato altruismo, unito al senso di "ok, si può fare" indotto dal terzo bicchiere causavano in me dei pessimi propositi, palesatisi con:
1) sorriso ebete nei confronti delle due ladies dietro al bancone;
2)frase di biasimo nei confronti dei miei compagni di bevuta;
3)afferramento selvaggio di ben otto calici a stelo lungo e successiva scena alla Matrix.
Perché, a pochi metri dalla meta, ho sentito che almeno due degli otto calici covavano insani propositi di secessione dal resto del gruppo. Al che, con doppio carpiato in avanti con triplo avvitamento, riuscivo a lanciare tutti i calici sul bancone senza romperli. Le cameriere mi lanciavano delle occhiate assassine, ma nel mio profondo, ero consapevole di aver sfiorato (sfangandola) la figura di merda del secolo.
La serata proseguiva in una Rhumeria, dove, oltre a coadiuvare l'apparato digestivo con un simpatico effetto minipimer, iniziavamo a diventare decisamente rumorosi e molesti, causando una malcelata disapprovazione da parte degli astanti. Arrivati a questo punto meriterebbero un cenno anche le rispettive "dolci metà", che molto poco dolcemente ci fulminavano con occhiate di biasimo ed impotenti di fronte alle nostre ormai lapalissiane intemperanze, fingevano bellamente di non conoscerci.
Il neodottore alias novello sposo è un personaggio tutto d incorniciare. I modi e le fattezze fisiche ricordano in tutto e per tutto Peter Griffin. In due parole il classico animale da festa. Quello che si sbronza per primo e tornato a casa viene colpito, inesorabile, dalla maledizione di Sboccamen... Come per ogni pinocchio che si rispetti ha il suo personalissimo Lucignolo, impersonato senza alcun dubbio da M.. Ecco, M.. Chiamiamolo pure "Consilium Fraudis" tanto per fare incetta di brocardi latini. Calzamaglia rossa, forcone  e coda, lui è l'amico che paziente ti indica una via lastricata di buone intenzioni, che se non conduce all'inferno ti guida diritto verso qualche figuraccia epocale. 
Memorabile la scena in cui, ai tempi di un viaggio a Rodi, dopo che A. aveva agganciato un gruppetto di sicule, lui si presentò alle fanciulle sentenziando "Oh ragazzi, ma quì è pieno di terr...." La frase non riuscì a finirla, perchè qualcuno di noi gli aveva irato un calcio sotto il tavolo, subodorando la gaffe, ma le tipe se ne andarono lo stesso inviperite. La cosa divertente è che passò il resto della giornata ad accusarci di aver ingigantito l'accaduto, asserendo che peraltro a suo giudizio ci aveva meritoriamente liberato da cinque ragazzette orrende. 
Abbandonando però le digressioni storiche e tornando al passato più recente, il tanto sospirato arrivo in ristorante assomigliava drammaticamente allo sbarco in Normandia. Noi sempre più ciucchi e le nostre dolci metà sempre più arrabbiate. Uno dei peggiori effetti collaterali dell'alcool sulla mia già pessima soggettività è quella di farmi biascicare i cognomi già nella fase di allarme 2 (quando, per intenderci, passi da   leggermente sopra le righe a simpatico come un gatto appeso agli zebedei..). Così, il nostro simpatico quintetto allietava un'esterrefatta cameriera,  con improbabili ricostruzioni del cognome del festeggiato, impedendole di comprendere a nome di chi, poi, fosse stato effettivamente prenotato il tavolo. Da lì in poi i miei ricordi si fanno confusi, nel senso che il bicchiere ed il piatto continuavano a riempirsi e la mia lucidità a scemare. Le cronache narrano che sia finito per sbaglio nel bagno delle donne, meravigliandomi di quanto fosse pulito e che abbia persino abbattuto un cameriere, arretrando molto poco delicatamente con la sedia. Ricordo solo a sprazzi (ed aggiungerei grazie al cielo) un interminabile pippotto di A. su un nuovo sport estremo che ha iniziato a praticare ed il cane di F. che prima di entrare in casa sua.
Per cronistoricizzare: la serata era morta mezz'ora prima quando, entrando nel pub che avrebbe dovuto introdurci alla fase 2,  abbiamo optato in massa per una tristissima coca-cola, accomiatandoci con un tristissimo "non ce la facciamo più". Quella stessa notte la mia camera smetteva di girare troppo tardi e la mattina, al contrario, giungeva troppo veloce. Sono vecchio per queste cose ormai. Maledette tradizioni!

giovedì 11 aprile 2013

Sold out

Una delle incognite della convivenza sono i parenti di lei. Tecnicamente sono come le viti che avanzano dei mobili dell'Ikea, quelle che ti ritrovi in mano con un misto di disperazione e smarrimento quando credevi di aver ultimato l'accrocchio made in Sweden. Di solito ci si ritrova a visitarli in estate, col sottoscritto costretto ad interminabili tour de force tra zie ultracentenarie afflitte da fanatismo religioso, cugini con l'encefalite letargica e nonni dall'aria inquisitoria. Il problema è quando son loro ad avere nostalgia di te, o meglio di chi vive con te. La mia dolce metà ha tra le altre cose due simpatiche gemelle omozigote, che periodicamente si materializzano tra lo zerbino ed il portaombrelli. Uguali nell'aspetto e opposte nel carattere, sono le cosiddette piccoline di casa, quelle a cui proprio non si puó dire mai di no, al limite un forse, che ha pur sempre ottime possibilità di mutare in si. Dato che quella piú introspettiva e riflessiva me la sono cuccata a fine marzo, non poteva mancare la visita di quella piú naif per il 10 di aprile. Con amica al seguito. Ottanta metri quadri per quattro sono davvero pochini, soprattutto se in quanto appartenente alla meravigliosa categoria dei figli unici, metteresti a guardia del tuo spazio vitale un branco di feroci mastini. Ora come ora ho due trolley modello cassa da morto abbandonati in corridoio, il bagno preso d'assalto dall'amica della sister afflitta da una letale forma di meteorismo ed il soggiorno adibito a camera degli ospiti, con tanti saluti ai miei buoni propositi di una serata a guardare Santoro. E a ben vedere nemmeno la camera da letto è Fort-Knox dopo due e dico due incursioni della gemella. La prima, ora ZULU 22.36 per una diagnosi volante su non meglio precisati dolori intercostali. La seconda, registrata qualche minuto piú tardi, per chiedere se avessimo della colla a caldo. "Che cazzo ci fai a quest'ora con la colla a caldo?!" avrei voluto chiedere contrariato, prima che le circostanze e gli eventi mi suggerissero un approccio piú soft al problema. Tanto che con insolito buonismo ho indicato l'armadio che sta in terrazza, spronando le due villeggianti a frugarci liberamente dentro. Da lí un sequela di risate asmatiche dell'amica della gemella, che praticamente è un incrocio tra Il Baffo da Crema e Wanna Marchi. Dopo mezz'ora ho sentito un tonfo sordo, ma non sono andato a controllare. In fondo la vecchiaccia del piano di sotto quando mi casca qualcosa me lo fa ritrovare la mattina dopo sulla seconda rampa di scale, quasi a condannare la mia sbadataggine. Domani potrei trovare un'armadio da esterni con dentro due villeggianti. Scherzo. Anche se peró ho il brutto presentimento che toccherá al sottoscritto portarle in stazione per spedirle in quel di Milano, direzione Fiera del Mobile, da quí a domenica. Vitto, alloggio e servizio navetta. Gratis, ma per il prossimo anno, direi, siamo al completo.

giovedì 4 aprile 2013

Svisti e Ri-visti

Le domande destinate a rimanere senza risposta trovano talvolta soluzione in una qualsiasi giornata di pioggia. Solito ritorno a casa per le vacanze di Pasqua, con annesse le vagonate di noia correlata alla vita del paesello, roba da spararsi sulle palle o qualcosa di simile.
Va da sè poi che il tempo, inteso come l'interminabile ticchettio delle lancette del mio Hamilton vada in qualche modo impegnato, magari facendosi un pó di fattacci altrui, tanto per non perdere le cattive abitudini.
Via Grazia Deledda a parte il nome ha ben poco di poetico. C'è un palazzone cadente dove una volta alloggiavano i dipendenti della banca, un armeria in disarmo ed un paio di studi medici. E'anche l'itinerario piú breve tra casa mia e quella di mia nonna, ragion per cui la percorro almeno due volte al giorno, rigorosamente a piedi e con la malinconia del posto addizionata alla debole luce dei lampioni. La piú nuova (o meno vecchia, a seconda dei punt di vista) delle palazzine che costeggiano la strada ha un prato incolto e due grossi balconi dalle tende trasparenti, dietro alle quali da dieci anni a questa parte, si staglia un personaggio ai limiti del surreale. Lo chiameró l'uomo che beve, stante il suo simbiotico rapporto con un frigorifero a doppia porta. Mattina, sera e notte: ad ogni mio passaggio lui è sempre lí, nella plasticità di un movimento ripetuto piú e piú volte a sorseggiare non so che davanti alla porta del frigo socchiusa. D'estate mutandato e d'inverno pigiamato, insensibile al trascorrere del tempo ed al fluire degli eventi il mio personalissimo Godot sembra indefinitamente cristallizzato nel gesto di assumere liquidi,destinato a non raggiungere mai la televisione che dal fondo della stanza illumina la sua non storia di colori cangianti.
Per un certo periodo ho pensato che si trattasse di un manichino, salvo poi constatare, dopo attenta analisi, che il nostro svolgeva un seppur limitato numero di attività che implicano il movimento.
Fatto sta che stamattina me lo son ritrovato di fronte, proprio mentre usciva di casa, tanto che mi sarei voluto fermare per chiedergli un'autografo. Tuttavia, a ben vedere, il fatto stesso che avesse varcato la soglia dell'ingresso implica un'inevitabile caduta del mito legato all'uomo intrappolato tra cucina e terrazza.
Quest'uggiosa settimana pasquale si è chiusa poi con una di quelle ricorrenze che cordialmente detesto, il pranzo di leva 1982. C'è un gruppo di indomiti sadici dietro questa cospirazione enogastronomica che si ripete immancabilmente da almeno dieci anni a questa parte. Gente che se ne sta inumata per il resto dell'anno e poi sbarabam, prima ti spiattella un invito si Facebook e poi viene fisicamente a prenderti a casa dei tuoi, appena torni al paesello natale per le cosiddette feste comandate. Ci si incontra un bel bestiario umano, tipo l'ex bullo delle elementari, il due di picche delle superiori o il tizio che alle medie pigliava un sacco di botte da chiunque, quasi fosse uno sport nazionale. Quest'anno dopo quasi dieci anni di biechi svicolamenti, sono stato intercettato dalla figlia dei vicini di casa, una di quelle che tra i 15 ed i 20 ha avuto la metamorfosi da cessa a gnocca ed ora sfrutta lo slancio.
Il fatto che l'evento fosse organizzato dal mio arcinemico della squadra di baket trovava la sua sublimazione non appena arrivavamo nel posto destinato ad essere la location dell'evento, uno sgangherato fienile nel cuore della barbagia che qualche incoscente aveva deciso di chiamare agriturismo. Fortunatamente, anche il cibo era di dubbia qualità.
Il brutto di certe situazioni è che poi ti tocca pure socializzare, e si sa che se tanti anni prima avevi deciso di lasciare il paesello limitandoti a tornarci il meno possibile era perchè, quelli che ti mandavano le balle in giostra come dire...proliferavano...
Il mio arcinemico ai tempi del basket si chiama Davide ed ora come allora conserva l'espressione scimmiesca da sgherro di Don Rodrigo. Il fatto che al tempo io giocassi nella squadra sponsorizzata dalle Coop e lui in quella delle suore la dice lunga sul personaggio. Guardia lui, ala io, uno a minacciare e l'altro a provocare. E se citavo quella gran donna di sua sorella riuscivo sempre a prendere il fallo. Ci salutiamo, con la tipica ipocrisia di chi finge di essersi dimenticato all'improvviso di anni di giovanile e malcelato disprezzo. Dopo si passa ai convenevoli di rito, con me a raccontare che faccio l'Avvocato in quel di Mailand, che c'è crisi e che l'anno appena cominciato non sembra poi cosí meglio di quello appena finito. A un certo punto ho quasi la sensazione di essere come un virus benigno, perchè tutte le mie vecchie fiamme di medie e superiori, che al tempo non erano affatto male, sembrano non essersi giovate della mia assenza. Una fa la parrucchiera ed adesso si è inquartata, roba che le ci vorrebbero le luci d'ingombro ed il cartello di carico sporgente, mentre con la leggiadria di un ippopotamo zompetta ai lati della sala. Un'altra ha i brufoli, tanti brufoli, tipo spot del topexan o qualcosa di simile. Quando mi dice che i trenta se li sente tutti addosso ed io la stoppo dicendo che sembra ancora quindicenne, si rabbuia e non parla piú. Adesso peró voglio raccontarvi di essermi tolto due grosse soddisfazioni, in maniera del tutto inaspettata. La prima nel constatare che il figo delle medie, quello che concupiva le piú belle lasciando a noi poveri scemi solo le briciole, era incontrovertibilmente rimasto uguale a se stesso. Che a quindici fa figo ma a trenta decisamente sfiga. Pettina da Zack Morris from "Bayside School" guardaroba attinto a piene mani dagli anni novanta e tre litri e mezzo di dopobarba tipo zampirone. Tra l'agghiaciante ed il meraviglioso, a seconda dei punti di vista. Poi, lei. Dolorosissimo due di picche targato 1993, dopo un anno a condividere lo stesso banco. Bella ora piú di allora, sofisticata ed eterea, ora fa la stilista. Si interessa, chiede, parla, racconta. Per un'oretta buona sembriamo in sintonia su tutto. Finchè lei non mi fa "Ricordi che bello quando eravamo nello stesso banco?!" Ed io "Oddio, per te non di certo..." Al che lei "Cosa vorresti dire?!" Respiro profondo del sottoscritto, occhiata diabolica che tenevo in caldo da non so quanto e giú con bel muro di ghiaccio "Se ti ricordi, io ci provavo con te e avevi detto che piuttosto che dirmi di si avresti preferito bruciare all'inferno..." pausa "Poi se proprio se vogliamo mettere le cose in chiaro dopo l'ora di educazione fisica mi avevi additato dicendo che puzzavo come un caprone!"
La conversazione è spirata tra il suo bellissimo viso attonito ed il mio cellulare che squillando intonava le note dell'Imperial March di Star Wars. Lato oscuro della forza o no, trovavo una sublime colonna sonora per accommiatarmi.

mercoledì 20 febbraio 2013

Solo tre storie

"Abbiamo finalmente trovato il tuo sostituto!" mi ha scritto A. qualche settimana fa, salvo poi aggiungere che "in realtà ne abbiamo dovuti prendere due part time, ma non riescono a star dietro a tutte le tue pratiche, quindi stiamo messi peggio di prima".
Quale migliore occasione, quindi, per tornare in quel di Parma, con la scusa dei crediti formativi e farmi delle grosse e grasse risate alle spalle del mio (tirchiosissimo) ex capo?!
I rientri nel mio vecchio ufficio hanno sempre un sapore particolare, come quelli nel paese natio a distanza di qualche anno. Trovi sempre qualcosa di nuovo: fascicoli, stampanti, pc oppure la tua vecchia scrivania spostata in un'altra stanza, che lí per lí ti girano anche un pó i gioielli di famiglia, quantomeno per l'indiretta alterazione delle percezioni extrasensoriali. Cosí, in una molto poco romantica mattinata di S. Valentino, dopo ben tre scampanellate, ecco pararmisi davanti il mio sostituto, Vito. SiculoSiculo, per intenderci. Tanto che sulle prime credevo di aver davanti il Ficarra del duo comico Ficarra&Picone, in versione un pó depressa peró. Credo di averlo già visto qualche secolo fà ai tempi dell'università, triste uguale, solo in versione studentesca anzi che forense. Il "nuovo me" è sempre stanco, trangugia kilate di M&Ms e fa le endovene di caffè. Questo, temo, a causa delle proprie insane abitudini alimentari. O forse bisognerebbe dire disabitudini, intese come implicazioni dell'essere vegano. Io vengo dalla campagna sarda, ergo la prima volta che ho sentito dire Vegan ho abbozzato una faccia interrogativa e sono corso su Wikipedia in cerca di verità assolute. Lí per lí pensavo che un Vegano fosse l'abitante di un pianeta esterno al sistema solare o il figlio ignoto di Don Diego De La Vega, alias Zorro. Invece è un integralista alimentare, che non mangia nessun tipo di carne o di pesce e tollera a malapena formaggi e latticini. Chiudo gli occhi ed immagino cosa sarebbe la mia esistenza senza controfiletto di manzo, porcetto arrosto, frittura di calamari, spaghetti con le vongole ed altre prelibatezze affini, vedendo materializzarsi davanti ai miei occhi una vera e propria catastrofe. Morirei sano, forse, ma sicuramente non camperei sazio. "Questione di scelte personali"ripeto tra me e me come un mantra prima di cedere all'inevitabile voglia di conoscenza e chiedere al mio interlocutore "Cosa ti ha spinto a fare questa scelta?!" E lui, quasi offeso "Ho un coniglio domestico che amo con tutto me stesso e che alle sei di ogni mattina faccio zompettare in giro per casa..." breve pausa "ed io ho molto rispetto per il mio coniglio.." ancora pausa "non riuscirei mai mangiare un suo simile."
Dopo siffatta affermazione le mie sinapsi neurali davano origine a due immagini ben distinte: nella prima immaginavo il coniglio ingabbiato, me che dormivo e la sveglia che continuava a suonare ben oltre le 6 antelucane; nella seconda, ben piú splatter, c'era mia nonna che sotto Pasqua, dopo aver prelevato dalla gabbia il piú pasciuto dei discendenti di bugs bunny gli tirava il collo e lo infilava in pentola, con buonapace dei cuori teneri della nostra famiglia. Il resto della giornata filava via sui binari dell'ordinarietà, fintanto che non risalivo sul treno che mi avrebbe riportato a casa. Poco prima di Piacenza una ragazza di circa 25 anni mi chiedeva lumi sul capotreno, spiegandomi di essere salita a Fiorenzuola senza biglietto e di volerlo fare al piú presto per evitare la multa. Quí metterei un bel fermo immagine, per sottolineare la mia innata tendenza a complicare le cose. "Non ti preoccupare" esclamavo "nel caso passasse il capotreno gli diró che sei appena venuta sú e lo stavi cercando" Ora mi pare doveroso premettere che circa trenta secondi dopo costei mi si è letteralmente fiondata addosso, nonostante io non assomigli nemmeno un pó a George Clooney ed abbia una voce suadente solo da raffreddato, ma tant'è... Insomma, per farla breve: essere abbordato a trenta da una di venticinque è davvero imbarazzante, soprattutto nel momento in cui lei ti afferra affettuosamente per un braccio chiedendoti di sederle accanto o inizia a tempestarti di domande sulla tua vita privata. Domande a cui io rispondevo con monosillabi dall'effetto contario a quello voluto: nel senso che le aspettative di mettere il discorso in ghiaccio cozzavano col sempre piú caloroso entusiasmo della mia vicina di posto. Va anche detto che era carina, almeno per quanto concerne i miei canoni estetici. Minuta ed aggraziata, occhi e capelli scuri, una di quelle bellezze sottovoce che non tramontano mai. Per contro, era fuori come un balcone. Ad un certo punto, dopo avermi raccontato del suo gatto Rasputin, mi ha domandato quanti anni avessi..."Trenta!" ho esclamato, e lei "Ma allora non sei piú di primo pelo!". Quí ho perso le parole, perchè di fronte ad una risposta simile non ci sono reazioni che tengano. Mi hanno dato dello stronzo, dell'opportunista e del cinico. Qualcuna ha detto che ero brutto ed alle medie, dopo l'ora di educazione fisica, credo che la mia compagna di banco mi avesse chiamato puzzone. Ma del vecchio no, quella proprio mi mancava. Notando l'esterrefazione prender possesso del mio volto, lei sferrava l'attacco finale, iniziando ad accarezzarmi il braccio ed a rassicurarmi dicendo che non intendeva dire quel che io pensavo. I rimanenti venti minuti di viaggio trascorrevano con me compresso in meno di metà sedile, lei che cercava di essere "empatica" ed una signora sulla cinquantina che seduta di fronte a noi osservava esterrefatta la scena. Inutile dire che arrivati alla mia fermata sono praticamente sceso dal finetrino, con la mia alquanto orginale compagna di viaggio che, telefono alla mano, dava tutta l'impressione di volermi chiedere il numero, mentre cercavo con molto poco garbo, di guadagnare una via di fuga. Cose simili possono capitare solo a me, soprattutto nel momento in cui sono strafidanzato, tanto per alzare il tasso percentuale d'imabrazzo. Last but not least ci metterei pure la simpatica scenetta della sera successiva, per completareil quadretto. Cenetta al giapponese per me e la mia dolce metà, dopo 350€ regalati al dentista e le balle decisamente in giostra. Troviamo subito posto, col cugino povero di Jackye Chan che nonostante la mega ressa ci trova uno striminzito tavolino per due in mezzo ad un altro trilione di copie. Un oretta dopo il nostro arrivo ecco sedercisi accanto una COOPPIACOOAATTAA DOC, munita di cane sorcio. Lei tutta leopardata con minigonna inguinale e tatuaggi fin sui seni paranasali. Lui un autentico armadio, due metri per 130kg di muscoli, sopracciglia rifatte, catenazza mod. Suino al collo e colorito violaceo da sovraesposizione a lampada UV. I tratti di lui tradivano un che di scimmiesco, come quegli ominidi ancora mezzo incurvati che precedevano l'Homo Sapiens. Vabbè, poco me ne sarebbe fregato di tutto ció se non ce li avessero piazzati di fianco, meno di venti centimetri per esemplificare, col cane sorcio che veniva in trasferta sotto il nostro tavolo. Perchè ad un certo punto nell'estendere la gamba sinistra a causa di un crampo caricavo i miei 80kg sulla coda di gianduia (poveretto, nonostante fosse bianco l'avevano chiamato cosí) causando un ugolato da parte della bestiola ed uno sguardo assassino da parte dell'uomo di CroMagnon. Gli facevo un bel sorriso da stronzo, pronto a dargli una sediata in testa e guadagnare l'uscita prima che si riprendesse. Fortunatamente, Capitan America tirava a se il cane e lo metteva sul lato del corridoio, con enorme fastidio dei camerieri gnappi. Gianduia non tornava piú sotto alle mie suole e siccome ricordavo bene la scena di Fantozzi, la Silvani e Pierugo alla cena giapponese, decidevo, per quella sera lí, di attenermi al sushi e lasciar stare il coniglio, tanto per restare in tema.

martedì 5 febbraio 2013

Di tristi finali

Pare che F. si sia sparato un colpo in testa. Fanno 43 caratteri, spazi inclusi. Un modo insolitamente stringato per dare una notizia tanto forte. D'altronde la mia ex collega non è mai stata un mostro in fatto di senso dell'opportunità. Perchè a pagina dodici del manuale del "question of timing" è chiaramente prescritto che certe infauste novelle meriterebbero quantomeno una telefonata, possibilmente lontano dai pasti.
Lui era un magistrato del Tribunale, tra i più bravi che avessi mai conosciuto, di quelli che danno del tu ad ogni singola norma del codice e rendono anche una semplice ordinanza un piccolo capolavoro giuridico.
Era sarcastico S. ma mai banale. Una mattina, di fronte al mio ormai ex capo che chiedeva a voce di essere sostituito da me per sopraggiunti impegni, rivolgendosi verso il cancelliere esclamava "Sia dato atto che l'Avv. X presente in aula, ma solo in forma olografica, nomina come proprio sostituto processuale..."
Era un personaggio particolare, di quelli che sembrano venuti fuori da un film di Oliver Stone e che, una volta, venivano definiti come uomini tutti d'un pezzo.
Anche per questo mi è difficile comprendere le ragioni sottese ad un gesto tanto estremo, soprattutto quando è uno dei pochi vincenti che io conosca a cercare il bottone trash per tirare la riga su una vita di successi.
Vado indietro con la memoria in questi giorni, alla ricerca di un qualche indizio che potesse razionalmente motivare quanto accaduto, ma non lo trovo. O forse si, ma in maniera  fallace, da assoluzione con formula dubitativa per intenderci, giusto per eviscerare la questione sotto il profilo tecnico.
Mi chiedo se allora certe cose accadano e basta, magari perchè ad un certo punto le spalle di un uomo che sembrava invincibile, trovino eccessivamente gravoso il fardello che la vita, con scarso preavviso ti mette addosso.
Ma queste sono solo facili disquisizioni filosofiche.
Anni fa, in circostanze analoghe, si era tolto la vita un mio coetaneo. Non lo conoscevo abbastanza, o meglio, lo conoscevo molto poco. Era l'amico decisamente originale di un ragazzo che occasionalmente usciva col mio gruppo. Sapevamo che aveva sofferto per alcuni problemi di natura psichica, sapevamo pure che qualcosa in lui non funzionava perfettamente, ma con la superficialità dei vent'anni non avevamo mai preso la cosa troppo sul serio.
Finchè una mattina dopo una lezione di procedura civile ho saputo che si era buttato dal terzo piano di un palazzo, lasciando una lettera particolarmente avara di spiegazioni.
Ad un anno dalla scomparsa, i genitori ed alcuni amici, per ricordarlo, avevano organizzato una cena, durante la quale alcuni dei partecipanti avrebbero potuto leggere le poesie che questo ragazzo, negli anni, aveva scritto.
Sul palco si erano succedute diverse persone, tra cui una cover band di alcuni suoi amici ad intonare alcune delle sue canzoni preferite.
Mi ero sentito un pò a disagio se devo esser franco. Alcuni dei brani letti mettevano troppo a nudo il disagio e, a dirla tutta, qualcuno  sembrava cercare più la consacrazione personale che un ricordo del ragazzo.
Tuttavia, verso la fine, forse la madre o chi per lei, recitava una poesia che per certi versi sembrava riassumere il senso della vita. Si concludeva con un pensiero molto semplice e molto delicato, che ancora oggi, nei momenti peggiori, cerco di far mio. Sopra ogni dolore può nascere un Fiore.





mercoledì 23 gennaio 2013

L'amico ritrovato

Capita in una domenica pomeriggio di metà gennaio davanti ad una libreria ingombra di volumi e dentro una cartella rossa tutta impolverata. Capita prendendo in mano delle lettere di quindici anni prima, per il solo gusto di rileggerle e sentirsi un pó nostalgici. Capita ed è insolitamente bello quando succede, di voler ritrovare un amico.
....Prologo...
Correva l'anno 1998, il sottscritto era un timido e brufoloso liceale, internet una strana parola anglosassone ed i social networks una remota ipotesi.
I francesi la chiamavano "civilisation" ovverosia il tentativo d'inculcarti al meglio lingua e cultura transalpina costringendoti a "vivere" da bleu de France. O quantomeno innescando una serie di eventi che, in qualche modo, potessero avvicinare quella situazione alla tua realtà esistenziale. D'estate venivo spedito in improbabili vancanze studio in altrettanto improbabili angoli della Francia, equidistanti dalla grandheur di Parigi e dai colori patinati della Costa Azzurra. D'inverno, invece, stante l'impossibilità di replicare quanto sopra espresso, c'erano i corrispondenti. Coetanei, francesi o comunque francofoni con cui scambiare delle nostalgiche e disincantate letterine, tipo quelle che da bambini si scirvono a Babbo Natale o Gesù bambino, a seconda delle personali preferenze.
C'era un certo Michel, che di cognome faceva Rousseau ed aveva i genitori oculisti, poi Cindy che tifava Juve ed odiava profondamente la nonna e Jessica, che scriveva dal Quebec ma era di famiglia Iraniana e aveva come unica ossessione quella di sapere se in Italia si potesse davvero andare in discoteca a sedici anni...Avesse poi saputo che io, per la prima volta ci ho messo piede per la prima volta (e pure controvoglia) a venti suonati...
E poi...E poi c'era Yohann...Diverso da me e dal resto del mondo. Yohann veniva da un piccolo villaggio di pescatori sulle coste dell'Atlantico. Yohann era alto e biondo e sognava di diventare veterinario perchè amava gli animali. Salvo poi decidere dii studiare archeologia perchè gli piacevano anche le chiese gotiche ed in fondo gli animali potevi comunque tenerli senza diventareer forza il loro dottore.
Era una persona speciale per me. Completamente diverso rispetto ai miei rumorosi amici, capace a differenza del sottoscritto di guardare al di là del proprip naso e con una delicata sensibilità per tutto quel che poteva interessarmi. Amava vivere la propria vita lui,contrariamente a me che quasi sempre mi sono limitato ad assisterne allo svoglimento. Ci siamo scritti per alcuni anni, con piacevole frequenza, dicendoci cose banalmente importanti. Lui mi raccontava di come diventare maggiorenni comportasse essenzialmente la seccatura di doversi recare alle urne, io della mia passione per gli orologi da taschino.
Pur non essendoci mai visti, per diversi anni, l'uno è stato la finestra sul mondo dell'altro. Mondi diversi tra loro, ma non per questo inconciliabili. Uno strano e ben riuscito esperimento d'integrazione culturale. Poi è arrivata l'università e con lei la dilatazione dei tempi tra una lettera e l'altra, soprattutto da parte mia.. Non sono mai stato un mostro di costanza purtroppo.
Cosí nel giro di pochi mesi perdi quel che avevi costruito nel giro di diversi anni, quasi senza accorgertene, se non quando è troppo tardi per aspirare ad un recupero.
....Dodici anni dopo...
Gli occhi scorrono veloci su una lettera datata 1999 "Salut Pier Mauro, merci beaucoup pour ta carte pour mon anniversaire m'a fait tres plaisir que tu y penses, surtout que j'ai des amis en France que ont oublié. Alors je te souhaite a mon tour un joyeux anniversaire pour tes 17 ans, avec un peu de retard mai mieux va tard que jamais!"
Seguiva una cartolina di auguri, che credo sia l'unica ricevuta da parte diamici maschi in trent'anni e rotti di vita su questo mondo, col plus di una dedica spiritosa e personale.
Cosí di slancio ho deciso di affidarmi alle nuove tecnologie per ritrovare il mio vecchio amico, arenandomi su un profilo facebook sprovvisto di foto ed uno su myspace con delle immagini bellissime che peró non veniva aggiornato dal 2010. Ecco, a questo punto voglio solo dire che al di la di come questa ricerca andrà a finire sono contento di aver ritrovato in quelle immagini la stessa persona che avevo imparato a conoscere. Una persona che a differenza del sottoscritto sembra aver realizzato i propri sogni e che su di una spiaggia dell'Atlantico in una sera di fine agosto, osservava il tramonto, dando con molta naturalezza le spalle all'obbiettivo.