martedì 31 luglio 2012

Pensierini post vacanzieri, atto primo.


1. Non sperare di trovare posto su un treno diretto prenotando il giorno stesso della partenza.
2. L'unico regionale disponibile avrà l'aria condizionata rotta, in particolar modo nelle carrozze di prima classe.
3. Nel caso decidessi di provvedere allo spostamento con "mezzi propri" rimpiangerai amaramente la decisione assunta qualche anno prima di acquistare un fuoristrada vintage al posto di una comoda berlina.
4. Duecento destrieri sotto al sedere, un'aerodinamica da scatolone dell'Ikea, tre tonnellate abbondanti e quattro gomme tassellate ti renderanno il golden boy del benzinaio.
5. Tua suocera deciderà di prendere il controllo della tua vita non appena avrai varcato la soglia di casa.
6. Riuscirà nel predetto intento al secondo tentativo, aggirando le tue impenetrabii difese con un piatto di tagliatelle allo scoglio.
6. Scoprirai perchè tuo suocero si fa vivo solo alle ore dei pasti dopo aver conosciuto in un'unica soluzione tutte tre le sorelle della sua dolce metà.
7. La dicitura "Albergo Bio" è una scorrettissima trovata commerciale per farti sembrare sostenibile una pensione mal arrangiata.
8. Al momento della colazione le procaci ragazze della stanza di sotto avranno diritto a tre cornetti alla nutella appena sfornati cadauna. Tu potrai aspirare ad una sfogliatina vuota del giorno prima e, a Dio piacendo, un calcio nelle palle da parte del barista.
9. Tuo padre tenderà a telefornare dopo i pasti per ammorbarti con i suoi problemi.
10. Sacrificherai preziose ore di sonno mattutino per andare a trovare in spiaggia una cara amica della tua lei ed il suo simpatico frugoletto.
11. Tratterrai i tuoi istinti ritorsivi nei confronti del treenne che, tra gli sguardi compiaciuti dei presenti deciderà di utilizzarti come grosso pupazzo personale.
12. I tuoi beceri commenti sulla cugina transoceanica e la sua amica platinata saranno colti in una tavolata affollata e chiassosa dalla nonna della tua lei che, per inciso, credevi sorda.
13. A proposito: grazie Amplifon!
14. Andando a far serata in uno sperduto paesello incontrerai esattamente le due persone per merito delle quali ti eri allontanato dalla città.
15. Se sei cresciuto in Sardegna il contatto diretto col mare Adriatico potrebbe traumatizzarti, soprattutto nel momento in cui non scorgi piú la sagoma dei piedi in dieci miseri cm d'acqua.
16. I ristoranti di montagna non hanno bancomat o se ce l'hanno non funziona.
17. Nell'ipotesi di cui sopra avrai contanti limitati, un ricco e prelibato menú, fame da competizione e l'enigma da grande fratello sulla portata da mandare in nomination.
18. Il cameriere a cui stai simpatico non avrà ovviamente alcun potere decisionale Su quanto esce dalla cucina.
19. Comprerai a carissimo prezzo un paio d'infradito teutoniche che faranno a fette il tuo poveroitalico piede.
20. Dirai sempre il contrario di quello che pensi, riscuotendo nella migliore delle ipotesi dei tiepidi consensi.

lunedì 23 luglio 2012

Chiamiamole soddisfazioni

Prima o poi tornano tutte, le donne, raccontava sornione tale Andrea, un personaggio assurdo in puro stile "Milano da bere" che si aggirava tra i corridoi della facoltá qualche anno or sono. Solo che non specificava come o sotto quale forma, queste ex o presunte tali, finite per qualche motivo nel dimenticatoio, facciano il loro ritorno sulla scena.
A 23 anni avevo un amico di nome David, che si comportava da predatore sessuale con qualsiasi tipa dotata di funzionalità respiratorie primarie, un'amica di nome Diletta, gnocca e matta come un cavallo ed un seminario di medicina legale da portare a termine in vista dell'esame. Ahimè, tale incombenza, consisteva in un'autopsia. Il fatto che poi fossi andato a vantarmi di questa cosa con David, il quale aveva deciso di presentarsi la mattina seguente all'istituto di medicina legale assieme ad una biondina slavata che tampinava quel periodo, pur senza essere iscritto al corso, è un evento del tutto trascurabile. Quantomeno perchè effettivamente quella giornata prenatalizia, ognuno dei partecipanti al corso aveva deciso di portarsi dietro qualcuno per assistere all'autopsia, in una sorta di delirio tanatologico generalizzato. I piú fortunati si erano presentati con la morosa, i meno saggi con colei che speravano lo sarebbe diventato e gli indecisi avevano girato l'invito ad amici/coinquilini.
Io, che per natura sono anticoformista, dopo che tutti quelli che conoscevo avevano optato per invitare tizia o caio a questo pseudo splatter in 3D, alla fine mi ero fatto accompagnare dalle due persone piú brillanti e fascinose che conosca: me e me stesso.
Ad accoglierci, una sorta di Jason Myers in salsa emiliana, che dopo averci disgutato raccontandoci di aver appena assaggiato qualcosa che arrivava dalla saletta in cui di lí a poco saremo entrati, ci mostrava orgoglioso i ferri del mestiere.
Quel che ne seguiva era abbastanza bizzarro. Perchè mentre l'anatomopatologo iniziava a sezionare quel poco che restava di un povero vecchietto finito sotto un'auto, una buona metá dei presenti, iniziava a svenire o a dare di stomaco. La bizzarria, appunto, era rappresentata dal fatto che a cadere per primi fossero stati gli studenti di medicina, mentre noi giuristi al contrario, mantenevamo una certa soliditá di stomaco. Ma non di nervi. Tanto che tale Maurizio da Mantova, dopo una battutaccia sul tiramisú, nel vedere la calotta cranica del vecchio scoperchiata, si appoggiava alla porta d'ingresso ed andava giú in verticale, sotto lo sguardo attonito della morettina con cui intrallazzava. David, impassibile, continuava a fare il maniaco con la biondina, incurante del fatto che l'alito della stessa puzzasse ben di piú del cadavere che avevamo di fronte. Io mi annoiavo. E a dirla tutta trovavo terribilmente ingiusto che tutti tranne me avessero qualcuno con cui interloquire. Poi ho visto lei. Che stava per dare di stomaco come metá degli astanti, ma era bella al di là di qualsiasi definizione, anche con una mano sulla bocca ed il viso stravolto. Occhi e capelli corvini, pelle di porcellana ed un generosissimo decolletè. Io ed i miei ormoni ci eravamo rimasti secchi. Seguiva un approccio, tenero e goffo come puó essere solo quello di un ventunenne venuto dal paesello con una ragazza di città, per giunta piú grande di lui. A distanza di anni ci rido un po sú, se ripenso a quella situazione. Cosí come quel giorno interpretavo i suoi spasmi da nausea come risate alle mie brillanti battute, nei mesi seguenti mi sarei incapponito a credere di poter ottenere da quella ragazza una lunga e meravigliosa storia d'amore. Ma cosí non era. Perchè Alice era una profumiera (termine particolarmente in voga al tempo per indicare una che -cit- "te la fa annusare senza dartela") ed io, per restare in tema, una cane da tartufi con l'olfatto scombinato. Diletta, la matta di cui sopra, me l'aveva detto da subito: GAME OVER, amico mio, quando si metterà con te nevicherà all'inferno!
Ma come mio solito, forse mosso da un'incrollabile fiducia nella metereologia applicata ai sentimenti proseguivo in questa folle corsa. Arrivavo a presentarmi davanti al negozio dove lei lavorava con una rosa in mano e, peggio ancora, danzare su di un cubo con lei avvinghiata addosso (per inciso: odio ballare, odio le discoteche ed anche i parallelepipedi mi stanno un filo sulle scatole).
La magia si rompeva quando, pochi mesi piú tardi, lei mi faceva la classica domanda che una persona prossima all'innamoramento spera di non sentirsi mai rivolgere: "Ma non sarà mica vera questa storia che ti piaccio?! Non voglio certo rovinare una cosí bella amicizia". Evitavo con molta eleganza di darle la risposta che avrebbe meritato (bitch) eclissandomi dalla realtà per un paio di mesi. In fondo lo diceva anche Gianni Agnelli: ci si innamora a vent'anni, dopo si innamorano soltanto le cameriere. Ed io avevo seguito il verbo, idealizzando sulle note distorte del cuore questa persona cosí estranea al mio mondo. La sofferenza per quel rifiuto si rarefaceva nei cinque mesi che seguivano, brillantemente esemplificata da una frase del mio amico G., che oltre ad avere delle serie riserve su Alice, contestava la mia decisione di aver troncato, per correrle dietro, la mia relazione con una ragazza di nome Cristiana. "Tu" mi diceva, "sei il maestro supremo delle cazzate in buona fede, perchè per correttezza hai mollato una che era persa di te, per correr dietro a quella là che già sapevi non ci sarebbe stata. Avevi la Ferrari, ti sei fermato al semaforo e hai visto una Subaru. Hai dato via per poco la tua sportiva italiana e non sei riuscito a comprare una berlinetta giapponese per tamarri. Adesso, caro mio, giri in monopattino e te lo fai pure piacere".
Passavano sette anni e una mattina di febbraio da quella frase. Il tempo per ritrovare il suo sguardo e forse anche una piccola parte di me, poco dopo l'ingresso della sezione civile, tra la guardiola della vigilanza e le iscrizioni a ruolo. Non so a quale dei miei sfaccendati neuroni dare la colpa per averle rivelato che in Studio serviva disperatamente una civilista, ma so che la scelta apparentemente suicida di sponsorizzarla addirittura col capo portava il mio marchio di fabbrica. Questo accadeva piú di due anni fa. Anni, passati a lavorare gomito a gomito, a litigare, a ridere, a confidarsi, creando un menage professionale di tutto rispetto.
Ma, soprattutto a fare delle scoperte sconvolgenti. Perchè se vivi per nove ore al giorno con una che ti ha rifilato un bel due di picche, per giunta dopo averti dato un bel pó di corda per giocare all'impiccato, finisci col diventare il suo confidente, scoperchiando quel metafisico Vaso di Pandora in cui si rivoltano le tue peggiori paure. Cosí dopo lunghi anni passati nella convinzione di non essere abbastanza per una cosí, scopri di avere al contrario qualcosa di troppo. Nell'ordine dei venti centimetri. Di altezza, non siate maliziosi!
Perchè a lei piacciono i nani. Incredibile ma vero. Sindrome da Biancaneve o complesso Edipico rovesciato che dir si voglia io avevo la brutta abitudine di presentarmi sul cavallo bianco quando, au contraire, le regole del gioco imponevano il minipony.
Un paio di loro, particolarmente corrucciati, si sono presentati sabato alla sua festa di nozze.
I centosessantadue centimetri di sposo saranno al quanto remunerativi, per lei, che nello scambio ha guadagnato una festa post matrimonio da quarantamila euri, un diamante che sarà costato la vita a sei o sette minatori ed una grande villa, nel cui parco si è svolto il ricevimento. Ci fossero stati gli altri quattro, avrei preso da parte lo sposo per allinearli di fronte al laghetto.

mercoledì 18 luglio 2012

Il passo e l'incanto

L'umore è ai minimi storici oggi. Per colpa di mio padre, che continua a comportarsi come un bambino e a non accettare quello che è successo. Del tipografo, che si ostina a cambiare secondo i propri gusti la frase che doveva essere rappresentativa del vissuto di mia madre. Delle di lei amiche zitelle, che ritenevano la stessa eccessivamente azzardata e volevano sostituire il mio tagliente epitaffio baricchiano con una nenia di De Filippo. Con tutti quelli (e non sono pochi) che continuano a darmi il consiglio giusto, quando avrei solo bisogno di un silenzio sbagliato.
Il mio rapporto con l'idea di cambiamento è sempre stato contraddittorio. Perchè se una parte di me insegue perennemente il sogno di un'altrove magicamente sospeso, l'altra avversa ogni variazione dello status quo.
E così  adesso mi ritrovo metaforicamente piantato davanti ad un incrocio privo di segnali stradali, magari su una di quelle strade di campagna che mi ricordano gli anni in cui ero bambino.
A dirla tutta una via l'avrei anche imboccata, decidendo di andare a vivere con la persona che da tre anni rende la mia vita un posto migliore. 
Nuova città, nuova casa e nuovo lavoro (work in progress sotto questo versante). Praticamente ho richiamato in panchina la mia vecchia vita per sostituirla con un qualcosa di nuovo ed indefinito.
Resta sempre il problema di lasciarsi dietro quella bella parentesi ricompresa tra i venti e i trenta. Fatta di attimi e di respiri cristallizzati sul ritmo che ti danno gli amici. Quelli veri.
Ecco, alla fine il rimpianto più grosso  consiste nel tracciare una linea di separazione tra me e loro. Centotrenta chilometri non sembrano tanti, ma in realtà sono sufficienti a farti diventare un pò più grigio e adulto, nel senso più deteriore del termine.
Le serate assieme non erano più le stesse da un bel pezzo a dire il vero. Sempre più stanchi, sempre più occupati e in definitiva meno felici. Non parlo di infelicità in senso stretto del termine, ma di perdita della magia che fino a qualche anno fa pervadeva ogni serata, quando uscivi di casa alle sette di sera senza sapere se, quando e in che condizioni saresti tornato. 
Ma adesso non è più così. Arrivato al giro dei boa dei trenta hai sempre delle ottime scuse per non concedere all'amicizia il tempo che merita. C'è la vita di coppia, il lavoro o la falsa necessità del riposo da una vita che più che stancare stressa. 
Non che non ci si veda ogni tanto. Ma il tutto si riduce ad una cena contornata da relative morose al sabato, piuttosto che ad una pizza mangiata di straforo al martedì dopo il calcetto. Da quì a definire Leone un gatto domestico ce ne passa però. 
La soluzione non c'è, anche se voltar pagina può aiutare, pur con tutte le contraddizioni del caso.
Odio gli addii. Quelli che se solo fossi un pò meno pigro potrebbero tranquillamentre suonare come arrivederci. Ma certi cambiamenti implicano distanze chilometriche  lunghe anni luce e telefonate che si fanno via via più sporadiche.
Onestamente non so cosà dirò per congedarmi. Dagli amici, dallo Studio e un  pò anche da me stesso. Tutti pensano che tra qualche settimana tornerò alla mia vita di tutti i giorni, fatta di mattinate a correre tra le aule di un Tribunale e pomeriggi a centellinare  parole altisonanti e articoli del codice di fronte a uno schermo del pc.
Ma arrivato al bivio, stavolta, ho capito che era proprio il momento d'imboccare una nuova strada. 
Con un buon numero di dubbi e la consapevolezza di aver dato retta all'istinto più che alla regione mi accingo ad affrontare questo nuovo viaggio. 
A prescindere dagli esiti e accantonando i rimpianti mi conforta l'idea che al mondo c'è solo un viaggio che non prevede alcun biglietto di ritorno. E non si tratta, fortunatamente del mio caso.




domenica 15 luglio 2012

Stereotipizzando

Tanto normale se cresci in un paesello di diecimila anime, per giunta nelle zone interne di un'isola, non lo sarai mai. Questa è una premessa necessaria.
Capita poi che ti emancipi, nel senso che vai a studiare/lavorare sullo stivale, magari  tra le pianure del nord, dove se non tutto, quantomeno parecchio di quello che vedi ti costringe a riempire di punti interrogativi (ed esclamativi) il capitolo che ti accingi a scrivere.
Tra i miei difetti peggiori c'è la gelosia, ma questa credo sia ascrivibile alla mia patologica condizione di figlio unico, viziato, ipercoccolato e, ai tempi d'oro, con una dotazione di giocattoli da fare invidia a qualsiasi futuro e ipotetico erede al trono.
Poi ho dei clichè, intesi  come stereotipi sedimentatisi nel mio emisfero cerebrale grazie all'ambiente e a quella che i più sono soliti chiamare esperienza. Ma non li annovero tra i difetti. Piuttosto come una caratteristica intrinseca della mia persona, come quei vecchi fuoristrada di una volta che sull'asfalto erano lenti ed impacciati, ma nel fango e nella neve non ce n'era per nessuno. Più che limitati specialistici, proprio perchè, chi li aveva progettati ne ipotizzava un utilizzo parabellico.
A volte, però, questi provincialissimi stereotipi condizionano la mia visione del mondo, offrendomi chiavi di lettura comicamente sbagliate, almeno in ordine alle aspettative che mi creo in relazione alle situazioni di fatto.
Sono moderatamente geloso della persona che sta con me. Non parlo di scenate e cose varie, ma di una sana dose di condivisione. Io so con chi vai e tu sai con chi vado. Universale, chiaro e semplice, senza menate da femminismo ante litteram o veteromaschilismo al suono del "se ti fidi di me non deve interessarti con chi esco".
 Sarò anche retrogrado, ma il mio manuale d'istruzioni contempla solo parole come conoscenza e condivisione, pur nel rispetto dei relativi microcosmi affettivi, intesi come spazi in cui coltivare la propria socialità al di fuori del rapporto.
Forse per questo ho sempre guardato con una certa riluttanza la figura dei/delle migliori amici/amiche. 
Sono dei vorrei ma non posso in senso materiale, delle negazioni bilaterali di sentimenti non corrisposti, una continua mina vagante, per qualsiasi rapporto certificato col bollino blù delle relazioni "serie".
La figura del migliore amico è il "servo della gleba" che cantavano Elio e le Storie Tese. O, nella peggiore delle ipotesi, una talpa intenta a scavare un cunicolo proprio sotto le fondamenta del rapporto. Tu sei l'invasore che minaccia quello che per anni era stato un suo protettorato. Lui è il figlio cadetto che non potrà mai salire al trono. Dev'essere necessariamente guerra. Punto.
Stanti i motivi di cui in narrativa, quando la morosa di turno se ne usciva nominando il best friend di turno, in me suonava una sorta di campanello d'allarme. Chi cadrà per primo? Domanda ricorrente. Anche perchè in queste situazioni sei sempre il secondo arrivato. 





 Così, non più di tre anni fa, sentendomi invitare dalla mia lei alla festa di tale Marco, la mia domanda è sorta spontanea e minacciosa:

Io: -Chi è costui?-
Lei:-Il ragazzo di Nicola-
Io:-Nicole, volevi dire Nicole?-
Lei:-No, Nicola, da Bari.-
Io:-Eh?!- (espressione di estrema sorpresa)
Lei:-Cosa vorresti dire?!- (Muscoli facciali tesi=pericolo)
Io:-Ah, ok- (aria conciliante)

Posto che non avessi la benchè minima idea di chi accidente fosse Nicola, quattro ore dopo (scusatemi ma sono un pò lento) realizzavo che nella concitazione degli eventi avevo risposto affermativamente all'invito per il primo gay-party della mia vita.
Come alla ruota della fortuna, avevo comprato una A credendo fosse una E. O qualcosa di simile. Nel senso che nel mio piccolo mondo fatto di provincialismi mai mi ero figurato l'idea di una coppia tanto atipica. Quantomeno in relazione agli schemi mentali tipici di uno originario del paesello dove tutti conoscono tutti. 
I giorni successivi -ricerca del regalo a parte- trascorrevano tra parossistiche figurazioni mentali su quel che sarebbe potuto accadere. Tipo Village People che cantavano in salotto o corpulenti marinai alla JPG ammassati all'ingresso. 
Encomiabile ad un paio d'ore dall'inizio delle celebrazioni la telefonata pre-cena con mio papà:
Lui:-Ehi? Com'è che chiami tanto presto stasera?!-
Io:-Ho una festa.... di compleanno.-
Lui:- Ah, bello, di chi?-
Io:-Marco, il ragazzo di Nicola...- (e adesso rido, mi son detto)
Lui:-Oh santo cielo! Cosa ti  è successo?!-
Io:- Mi hanno invitato...Ma tu, scusa, non eri di sinistra?-
Lui:- Certo, cosa credi? Era giusto per sapere ma...Sono proprio tuoi amici?!-
Io- In realtà sono amici della mia bella. Ma sai com'è...-
Lui:-Ah, ok. Divertitevi. Ma non fare tardi. Anzi, dopo chiamami ok?!-
Io:-Verosimilmente rientrerò dopo mezzanotte, sei sicuro?!-
Lui:-Ma domani lavori!-
Io:-Domani è Domenica-.
Lui:-Accidenti. Vabbè, chiamami lo stesso e cerca di rientrare presto, mi sembri stanco.-

Non è mai tornato sull'argomento, il mio vecchio, ma sono sicuro che da allora, si ponga delle preoccupate domande sulla mia vita notturna. 
Alla fine poi alla festa  siamo anche andati, nel senso che mi hanno caricato in macchina  dopo avermi bendato e fatto fare tre giri su me stesso (scherzo!).
All'ingresso ci attendeva il padrone di casa, con un fantastico grembiule a fiori ed un vassoio di risotto ai gamberetti.
Avevano scoperto in anticipo la mia più grande debolezza: il cibo. Praticamente la mia già modesta socialità a quel punto ha alzato bandiera bianca, di fronte ad un buffet pantagruelico sul quale mi sono fiondato senza troppi complimenti. 
La fauna festante, era naturalmente variegata. C'era Nicola, con  una camicia a fiori ed un foulard da dandy. Più defilata una presunta coppia etero, in cui lei ardeva per lui di un'amore impossibile, che di rimando non trovava il coraggio di fare coming out. Un inquietante personaggio di quasi due metri, che con chiari riferimenti calcisitici avevo ribattezzato Ibragay, continuava a seguirmi in giro per casa, lanciandomi delle occhiate poco rassicuranti. 
Date le circostanze, quindi, mi ero prudenzialmente sistemato su un gruppetto di sedie di fianco al tavolo del buffet, assieme a tale Andrea, che al pari del sottoscritto aveva dovuto accompagnare la sua dolce metà alla festa.
A un certo punto mi ha spiegato che in mezzo a tutta quella marea umana c'era uno che occasionalmente faceva la Drag Queen nei locali e che non sarei mai stato in grado di individuarlo.
Erroneamente convinto di possedere un Gay-radar sufficientemente affidabile cannavo ben otto possibili alternative, prima di arrendermi e chiedere chi fosse mr X. 




"Vedi quello la in fondo?" mi diceva lui. "Certo che lo vedo, quello è assolutamente etero!" rispondevo io. Non lo era. Neanche un pò. Ed era pure fidanzato con un tizio palestratissimo e canottierato.
Insomma, stereotipi o meno sono tornato a casa sazio quella sera. Che poi per la settimana successiva abbia continuato a controllare con un certo disagio di non esser pedinato dal sosia del maledetto svedese è un'altra storia. 
L'ultimo capodanno l'abbiamo passato assieme. Non io e Ibragay naturalmente. Perchè la mia bella ha invitato a casa nostra alcuni dei membri della festa. Purtroppo uno di loro era a dieta, quindi molto meno cibo dell'altra volta per me.Estremo dolore.
Marco ha molto apprezzato la mia giacca e Nicola...Beh, lui continuava a vestirsi come il cantante dei Baustelle. Al quinto bicchiere di prosecco ho domandato al Drag Queen part-time quale inquadramento contrattuale gli garantisse il proprietario del locale in cui si esibiva. Inutile dire che la mia dolce metà mi ha tirato un calcio sotto al tavolo, tanto per gradire. Ma io sono una persona indiscreta e non mi fermo di certo per uno stinco infranto. 
Quando a metà serata, credevo di essermi finalmente liberato dei miei provincialissimi cliché, succedeva qualcosa di televisivamente paradigmatico. Marco si appropriava del telecomando e ci costringeva  a vedere la Carrà. 
Meno male che per Natale mi ero regalato l'Ipad. 










venerdì 13 luglio 2012

Vada e torni vincitore.

Lo dice sempre il mio capo che con le cancelliere ho il tocco magico. Vecchie, giovani  e di mezza età, io butto sempre il cuore oltre l'ostacolo e spesso porto a casa il risultato. Nel senso che ottengo copie gratuite degli atti giudiziari, salto le code e riesco a recuperare nei più oscuri recessi archivistici documenti risalenti al periodo della rivoluzione francese. Ma tant'è. Il prezzo è essere sempre carino e gentile, farti scorrere addosso insulti, lassismo e crisi di nervi tipiche degli statali. Come dice la consulente psichiatrica del nostro Studio Legale se hai davanti uno che ti fa muro devi abbracciarlo. Distendi le braccia e regala il tuo amore al tuo dirimpettaio. O almeno cerca di fingere con convizione.
Il rovescio della medaglia è rappresentato dal fatto che a forza di interpretare un ruolo finisci con l'immedesimartici, facendo involontariamente breccia nelle mura nemiche anche quando ti muovi "in borghese". 
Così l'altro pomeriggio, mentre sistemavo in banca alcune questioni inerenti alla mia attuale situazione mi sono imbattutto in tale Josè. Che fa la consulente ai privati in ordine ai conti correnti ed attività connesse. Mora, riccia e con la pelle di porcellana. Una di quelle bellezze d'altri tempi, per quanto credo sia sui trenta o giù di lì. Anche se poi, per me, strafidanzato, vale sempre la regola aurea del guardare e non toccare. Ma torniamo al mio modus operandi. La osservo, sorrido e le faccio delle domande. Sulla situazione patrimoniale, sugli adempimenti e, nell'attesa, cerco i suoi occhi. Sfuggenti, decisamente sfuggenti. Di quelli che hanno una storia da raccontare ma sai già con anticipo che te la dovrai sudare fino in fondo. Ha fatto firmare a mio padre un sacco di moduli, sotto la mia attenta supervisione. Due mattine dopo mi sono ripresentato con mia nonna, per espletare la medesima procedura. Ok, giungere per la seconda volta di seguito sul luogo del delitto, per giunta accompagnato da un'adorabile vecchietta è un colpo basso, bassissimo. L'impressione che Josè (nome strano per una ragazza, so che l'avrete pensato anche voi) mi osservasse in maniera non proprio disinterassata iniziava ad insinuarsi tra i miei pensieri. Per le occhiatine lanciatemi mentre facevo finta di guardare altrove, le risate quasi soffocate ad ogni mia battuta ed uno strano senso di imbarazzo che pervadeva quella piccola stanza. Poche ore dopo, la mia cara nonnina, cercava di mandarmi di traverso l'arrosto che mi aveva amorevolmente cucinato con un'uscita che non ci si attenderebbe certo da un'ottuagenaria:

-Quella ti vien dietro, non lo hai capito vero?-
-Nonna, scusa, a chi ti riferisci?-
-Sei proprio tonto, la ragazza della Banca, quella di stamattina...-
-Ma no dai...-
-Non ti ha staccato gli occhi di dosso, dai retta a me, quella ti punta, se solo...-





La frase non l'ha finita, perchè l'arrosto mi si è piantato nell'alto tratto digestivo e io ho assunto un colorito abbastanza simile a quello di Fantozzi che decideva di trangugiare un Tordo intero.
Passi pure la sua malsana passione per le telenovelas venezuelane, ma ricevere consigli d'acchiappo da una che ha quasi il triplo dei miei anni (e che  in tempi non sospetti armeggiava coi pannolini del sottoscritto) può essere choccante.
Almeno all'inizio. Poi ho valutato l'eventualità che se avessi avuto 4-5 anni di meno e fossi stato, per così dire in caccia, lei si sarebbe dimostrata una spalla decisamente migliore di tanti amici marpioni. Nel senso che avrebbe lavorato per  me senza secondi fini e con l'unico scopo di mandarmi in meta. Oltre ad essere poi una sorta di "stealth" rispetto ai radar delle eventuali prede in rosa.
Come premesso, se attivo involontariamente la modalità "young lawyer available" non c'è (quasi) nessuna addetta al front office al mondo che sappia resistermi. Peccato che di solito siano quasi tutte sopra i cinquanta e brutte come la peste a differenza della morettina deliziosa di cui sopra. Quindi un filo di rimpianto resta, se non altro perchè da single, queste botte di culo non mi capitavano mai.
Inutile dire che in banca ci sono tornato ieri, con lei che a distanza di diversi giorni aveva ancora la nostra pratica sulla scrivania, con un bel post-it giallo incollato sopra. Recava scritto RICHIAMARE a caratteri cubitali. Sarà per questo che nel dubbio, dopo l'ennesima firma, lei ha preteso che le lasciassi il mio numero, con la sempreverde scusa  "In caso di necessità".
Così, mentre tutto soddisfatto sfilavo tra due bancomat coccolando il mio orgoglio maschile, mi tornava in mente la frase che il mio capo è solito ripetere ogni qual volta mi affida una mission impossible il cui scopo è vincere le resistenze di una qualche figura autoritativa di sesso femminile "Questa non possiamo sbagliarla, mi raccomando. Adesso vada e torni vincitore."

lunedì 9 luglio 2012

F.&F. vol2

Partiamo dal presupposto che le cose, lasciate andare a se stesse tendenzialmente peggiorano, seguendo dinamiche evolutive incoerenti e disarticolate. Aggiungiamo poi che la storia di quest'amore ipotetico, ha preso una piega talmente strana da dover essere per forza raccontata, a costo di rischiare il linciaggio da parte dei diretti  interessati. In tal senso è stato poi determinante l'intervento di una musa ispiratrice virtuale, che alle 22.08 odierne ha dato involontariamente lo start a questo secondo step narrativo. Avevamo lasciato lei tradita e quasi abbandonata dalla persona con cui stava da molti anni. Lui, dal canto proprio, continuava a correre dietro ad una tipa in technicolor, intesa come individuo di sesso femminile sopra i trenta, caratterialmente instabile e problematica. Comunque troppo originale per un soggetto come lui, talmente retrogrado da poter aspirare ad un ben piú rassicurante bianco & nero.  Fatto stà che la F. in rosa esperendo l'estremo tentativo di salvare un amore in rigor mortis decideva, non piú tardi di un mese e mezzo fa di partire col moroso fedifrago alla volta di un isolotto caraibico. Di quei posti dove l'espressione "due cuori e una capanna" non è assolutamente metaforica e, consequezialmente, mancando ulteriori occasioni di svago, ci si diletta in un'intensa attività sessuale. Che di per se sarebbe cosa ottima e salutare, non fosse altro per il fatto che su un'isola deserta via sia, per cosí dire, carenza di metodi contraccettivi.  Roba che la F. è tornata a casa un pó incinta, ma anche convinta di aver riconquistato il proprio uomo senonchè, costui, riannusata l'aria della pianura padana ha cominciato a sentire nostalgia dell'amante ed improvvisa insofferenza verso quell'idea di paternitá balenatagli alle latitudini tropicali.  Cosa che l'F. Invece, rimanendo fedele al proprio personaggio se la giocava autarchicamente in casa. Nel senso che sempre partendo dalla pianura padana  scarrozzava la signorina in technicolor per mari (adriatici) e monti (appenninici). Ma anche per lui la ruota del destino girava a casaccio. Cosí la sofisticata fanciulla si dileguava dalla sua vita ed entrambe le F. di questa storia  iniziavano a riempire le nottate ed i divani originariamente appartenenti a me ed alla mia metà, alla ricerca di una soluzione impossibile a problemi che, con sommo talento, hanno saputo creare a se stessi. La cosa surreale, in tutto questo è che l'una vorrebbe mollare l'attuale  consorte e tenersi il bambino e l'altro, pur non conoscendola e non sapendo niente di lei, avversa ogni giorno questa difficile scelta.  Io sono molto arrabbiato con loro. Per le ore di sonno non godute. Per l'indebita compressione della mia privacy. Ma, soprattutto, perchè magari tra qualche mese mi costringeranno a scrivere un altro post, magari con una terza F. portante il metatag "ragazzo padre". 

sabato 7 luglio 2012

Agosto 2008

La vacanza in se, quell'anno, era partita sotto le piú fosche aspettative. Io appena piantato in asso dalla mia nemesi sentimentale, Cris frescamente accasatosi con quel suino bipede che è la sua attuale morosa, F. manco a dirlo, in perenne crisi d'amor perduto ed il caro G. che ci aveva tirato il cosiddetto pacco a una settimana dalla partenza. Cambio di uomini, ma non di modulo, con G. appunto, sostituito dal Cocco all'ultimo secondo. Già, il Cocco. Viso da attore, fisico scultoreo ed encefalogramma piatto. L'unico individuo al mondo capace di giocarsi in tre semplici mosse  le numerose tipe che ci provavano con lui.  Ricordo ancora di una comune amica in pieno fermento ormonale che l'aveva invitato fuori a cena. Lei: "Sai, tra qualche sera canteró ad un concerto organizzato in memoria di un amico che si è suicidato l'anno scorso..." Lui: "Ah...Cazzo... Che sfiga!" Pausa imbarazzante di silenzio Lui: "Quindi suoni in un gruppo?!" Lei:"Faccio la corista" Lui"Quindi suoni.." Lei:"No, canto, faccio la corista!" Lui: "Ah capisco, quindi suoni... Ma scusa, per curiosità cos'è una corista?!" Tralascio il finale (tragico) di questo appuntamento, per tornare appunto, al nostro viaggio.  Quarantasette metri quadri ed un pessimo assortimento.  Un futuro avvocato, un prossimo dentista e due ex giocatori di Rugby, di cui il piú illuminato, peraltro, vendeva pure degli scooter a tre ruote! Da buon padrone di casa mi ero assicurato che l'unica camera da letto del mio marittimo bilocale fosse assegnata a me ed F., relegando gli altri due ospiti in soggiorno, per motivi che col tempo mi sarebbero apparsi piú chiari. Nel senso che il Cocco girava per casa completamente nudo e Cris al posto di un comodissimo paio di infradito utilizzava delle nike a stivaletto,  per giunta senza calze, on tanto di effetto Chernobyl all'imbrunire. Quanto alle mise adamitiche del Cocco credo che abbiano avuto un robusto nesso di causalità con la dipartita della vecchina seduta sulla terrazza di fronte, spirata (molto) serenamente qualche settimana piú tardi. Le mattinate si consumavano sulla vicina spiaggia, con me ed F. a cadaverizzare nel ricordo dei rispettivi amori indimenticati, Cris impegnato in orripilanti telefonate melense con Happy Pork e il Cocco a rimirar se stesso e lasciarsi andare in un infinito loop di seghe mentali. Nel senso che le tipe carine o presunte tali lo divoravano letteralmente con gli occhi e lui, per contro mi chiedeva terrorizzato se lo stessero osservando per prenderlo in giro. Bella scena. Io, spettinato, barba incolta e pancetta in bella vista a rassicurare uno pseudotronista sulle intenzioni di qualche ragazzetta da spiaggia. Fase Supernova per il mio già smisurato ego.  I viaggi in macchina erano l'occasione migliore per una bella crisi depressiva collettiva, tra amori finiti in tragedia (io), non cominciati e finiti per questo in dramma (F.)  e seghe mentali soniche stile adolescente che legge cioè (Cocco). Il pomeriggio o comunque, nei giorni in cui si decideva di cambiare spiaggia, finivamo immancabilmente vicino a un gruppetto X di ragazze, che si avvicinava al nostro ombrellone al ritmo di 50 cm all'ora, in forza del potere attrattivo esercitato su qualcuna di loro dal mio tatuatissimo amico. Nel caso di specie, io ed F. avevamo la grave colpa di non togliere per tempo l'audio ai nostri loquaci amici, cosí che se le fanciulle sopravvivevano alla prima bordata di fuoco amico del Cocco, ci pensava il Cris (un altro one shot one kill quando si tratta di terrorizzare inermi fanciulle) ad allontarr definitivamente il gruppetto delle aspiranti al trono di Coccolandia.  La situazione di cui sopra si riproponeva in maniera ancor piú lapalissiana nel corso delle nostre improbabili serate ad Alghero. Il Cocco vestito come un novello Tony Manero, F. sempre piú triste, io meno pettinato che al mattino e Cris... con le solite Nike senza calzini... La scena madre il destino decideva di ambientarla in uno dei rari discopub ubicato a margine dei bastioni, con tanto di plateatico esterno adagiato su di una ripida scogliera.  Due supermegagalatticheiper-(f)ighe monopolizzavano su di loro l'attenzione dell'intero pubblico maschile del locale ( e l'odio incondizionato delle poche donne presenti). A dirla tutta erano come dei distributori ambulanti di 2 di picche: i vari pretendenti arrivavano davanti a loro muniti delle migliori intenzioni ed in tutta risposta, venivano letteralmente rimbalzati.   Dieci, venti trenta... Il due di picche quella sera era come la consumazione in discoteca: obbligatorio! Per molti ma non per tutti. Per esempio il Cocco, adocchiato e abbordato dalla piú procace delle due mentre se ne stava accovacciato tra me ed F. sul vertice alto della scogliera.  Questo il surreale dialogo che ne è seguito: Lei: "Ciao bello!" Lui: "Attenta che cadi!" Lei (con tono ammiccante e accento romanesco): "Che m'a stai a tirà?!" Lui (viola dalla rabbia in volto): "Io non me la tiro capito! Io sono un ragazzo modesto e alla mano! Stronza!" Lei: "Ah zitellone acido!" Seguiva un drammatico momento di silenzio al termine del quale F. con aria incredula, fissava il Cocco negli occhi e lo incalzava: "Brutto idiota, hai idea di quel che hai combinato?! Quella ci stava, sicuro come l'oro e tu non hai saputo fare di meglio che insultarla" Il nostro antieroe ribatteva che lei lo aveva accusato di tirarsela, salvo cadere nello sconforto quando gli spiegavo che le parole di lei avessero tutt'altro significato. Due ore abbondanti di macchina, passavano ancora piú lentamente a causa del nostro autista, che iniziando a realizzare le dimensioni della propria topica continuava incessantemente a porre come un disco rotto la stessa pedissequa domanda "Ragazzi, ma secondo voi ho fatto una stronzata?!" Del ritorno a casa conservo due distinti ricordi. Il primo di Cris che si toglie le sue mitiche scarpe e riempie di sabbia il vaso di bouganville della terrazza ed F. che mi afferra per un braccio e mi trascina in camera, intimandomi di chiudere la porta. Trenta secondi dopo l'aria del soggiorno era satura di un terribile olezzo piedato. Grazie ad F. ero salvo. Non altrettanto ben andava al Cocco, accasciatosi sul divano al nostro rientro. Con un ultimo disperato urlo implorava Cris di metter fuori le scarpe e lavarsi i piedi. Il destino, alla fine, punisce gli stolti!