giovedì 29 settembre 2011

My Friends

Non è tempo per noi, cantava un disilluso Ligabue qualche lustro fa e man mano che il tempo passa, mi rendo conto di quanto questa frase si adatti a raccontare delle nostre vaghe esistenze.
Personaggi degni di nota, in fondo, lo siamo sempre stati, quantomeno per quel modo assiomatico di intendere la vita, fatto di valori difesi con ferocia fondamentalistica e abitudini cristallizzatesi col passare delle stagioni.
Compagni in questo strano viaggio chiamato vita e fratelli nello spirito di un'amicizia che dura da dieci anni e non ne vuol proprio sapere di finire. C'è chi c'è stato sempre, chi è andato via per un pò e chi deve ancora tornare, ma quelle poche volte in cui riusciamo a vederci tutti assieme è come se il tempo tornasse indietro di sette/otto anni, quando la nostra massima preoccupazione era dove andare la sera e il concetto di mattina era sciolto da qualsiasi impegno che implicasse la privazione del sonno.
C'era quello che organizzava, anche se poi gli mandavamo tutto a rotoli, quello che si proponeva come regista di un film che gli attori finivano col recitare al contrario, chi doveva portare delle ragazze che non arrivavano mai e chi per dimenticarne una soltanto, cercava di affogarci in fiumi di pura depressione, che prontamente arginavamo con qualche scherzo di pessimo gusto, tanto perchè poi alla fine a prescindere dall'età, non fa mai bene prendersi troppo sul serio. Le nostre serate cominciavano a mezzogiorno e finivano alle sei della mattina dopo, con un sole che faceva capolino nella pasticceria sotto casa mia e noi che estenuati dal sonno ancora commentavamo qualche inenarrabile figuraccia della sera prima, oppure, da pessimi oracoli, cercavamo d'interpretare l'arcano significato del messaggio che la bella di turno -che per inciso non ci sarebbe mai stata- aveva inviato a qualcuno del gruppo.
 Otto era il numero magico, suscettibile di modifiche al rialzo a seconda delle serate e degli anni, dato che come in ogni gruppo che si rispetti molti pezzi, soprattutto quelli sbagliati, si sono persi per strada. C'erano i ritrovi fissi, tra cui una rumeria del centro dove serviva ai tavoli una mia ex -molto ex- e nessuno voleva replicare il mio ordine nel timore che dietro al bancone qualcuno sputasse nel bicchiere sbagliato. Poi una trattoria di montagna dove si spendeva poco e si mangiava pantagruelicamente, con l'unico inconveniente che al ritorno nessuno era  in grado di guidare e quaranta e più chilometri di curve mutavano in un vero e proprio viaggio delle speranza. Degne di nota pure le cene a casa del Cris, dove un gatto nero girava sotto il tavolo e la mamma  preparava con la massima tranquillità un piatto di carbonara alle tre di notte, quasi fosse la cosa più normale del mondo. Gli eventi sportivi poi erano vissuti con religiosa abnegazione, assegnando rigidamente i posti a sedere sul divano in base al presunto raggiungimento di una polarizzazione favorevole alla nazionale di calcio o alla ferrari.
E infine c'era Ermes, il fornaio/filosofo che ci sfamava al termine delle nostre serate di gloria, quando a mezzanotte qualcuno poteva lanciare l'idea di farsi duecento chilometri per arrivare in riviera e tornare indietro, sicuro che almeno due dei presenti, lo avrebbero  seguito. Lui mi manca davvero tanto, perchè la morte ti lascia solo un ricordo sbiadito di chi, inconsapevolmente, rendeva migliori i tuoi vent'anni. Ricordo la sua focaccia "speciale" che lui però non mangiava mai perchè "sò quel che ci metto dentro..." e il prendermi bonariamente in giro dicendo "Tu mangi la pizza con la crosta! Sei mica lavativo come quelli là!". Così capita che tutte quelle sere in cui usciamo, cercando malamente di replicare le serate dei nostri anni migliori, abbiamo la brutta sensazione di vivere in una storia senza finale, fatta del numero trenta che incombe pericoloso, del sonno che ci coglie ben prima di mezzanotte e della nostalgia declinata al passato. Poi, riflettendoci un pò, ci accorgiamo di essere rimasti i soliti adorabili idioti, ancorati all'idea di un'amicizia che travalica il tempo e gli eventi, forte della voglia di stare assieme e di sfottersi reciprocamente, così che in mezzo ai nostri improbabili discorsi, si insinua un piccolo ma significativo sorriso.




giovedì 22 settembre 2011

(500) days of summer

Sarà quest'idea di autunno che incombe, nascosto tra i raggi dell'effimero sole di fine settembre, oppure una serata tra amici nel Pub che dieci anni fa raccontava i sogni e le illusioni dei nostri anni ruggenti, ma ieri, dopo un paio di birre scure e un resoconto completo delle figuracce orgogliosamente collezionate dal 2001 in poi, mi è venuta voglia di divagare un pò. Accanto a noi si era appena seduto un gruppetto di matricole o forse sarebbe meglio dire di matricoli, dato che il più sgamato dei cinque aveva artatamente combinato un appuntamento con quattro universitarie, fermamente intenzionato a predare la più carina. Intanto si dava un bel daffare per minimizzare gli eventuali danni collaterali che i suoi fidi compari avrebbero successivamente prodotto. Questi ultimi, dal canto loro, davano piena prova del fatto che le preoccupazioni del "capitano" fossero più che fondate, nel senso che il tentativo  del più intraprendente di accaparrarsi i posti centrali, speranzoso di essere il beato tra le donne della situazione, dava il la a un deleterio processo d'imitazione da parte degli altri tre, originando quella che per il resto della serata io e i miei amici avremo chiamato "2 di picche-zone".
In questa singolare armata brancaleone spiccava il quinto elemento, volontariamente assorto nei propri pensieri e autoesiliatosi nell'angolo più remoto del tavolo, ignaro del fatto che spesso  l'anticonformismo e la distrazione, ci conducono su strade che mai avremmo sognato di percorrere.
E poi arrivano le ragazze, a colorare una serata fino ad allora priva di forma e sostanza, secondo le dinamiche evolutive che noi, due tavoli più in là, avevamo prudenzialmente previsto. Così mentre la più vistosa delle tre flirtava spudoratamente col capitano di ventura e le due centrali creavano un bel muro di ghiaccio dietro cui imbrigliare le malcelate velleità di conquista dei tre fenomeni al centro del tavolo, ecco la quarta scambiarsi uno sguardo col quinto, che come un personaggio baricchiano sembrava soltanto voler assistere alla propria vita, ritenendo impropria qualsiasi ambizione a viverla. Purtroppo per lui, però, quello in questione era uno di quegli sguardi che non si possono ignorare, forse perchè lei sembrava emergere dall'aurea mediocritas del gruppetto in rosa per il fatto stesso di avere con se un libro di Sepulveda e  un non so che di deliziosamente retrò che traspariva dal suo essere donna. Fatto sta che i due iniziavano a viaggiare su un binario parallelo, mescolando due mondi fatti di identiche contrapposizioni e dando la netta impressione di aver trovato, non senza restarne sorpresi, ciò che da tanto tempo, in modi diversi, andavano cercando.
Immancabilmente, a 20 anni, conosci una persona che ti è speculare in tutto e per tutto e  si incastra come il pezzo mancante di un puzzle in quegli angoli di te che fino ad allora credevi dovessero restar vuoti. Seguono dei mesi e forse anche degli  anni intensi come mai nulla  era stato e più sarà. Purtroppo un bel giorno (o brutto a seconda a del meteo) ti svegli e tutto finisce. Senza colpe e senza motivi, ma solo perchè la perfezione ha tempi di conservazione brevi e come le leggende tende a morire giovane  e in maniera teatralmente drammatica. Niente tragedie però. Verso i trenta scopri che la vera felicità è un sereno senso di sicurezza che raggiungi con qualcuno che non ti assomiglia poi tanto, ma è capace di farti trovare e provare quello che io chiamo equilibrio.
Sarà per questo che rientrando a casa mi è tornato in mente un film di qualche anno fa, (500) days of summer o "500 giorni insieme", che raccontava, appunto, di come il concetto di anima gemella a volte sia  il frutto di un tremendo malinteso. Quantomeno se sei idealmente convinto che la donna della tua vita si chiami Summer e poi, molto tempo e molte lacrime dopo, scopri che c'era un'Autumn ad attenderti.
Così, stamattina, mentre me ne andavo al lavoro con l'Ipod nelle orecchie, ho riascoltato tutta la colonna sonora del film di cui sopra, che per inciso include cover e versioni originali di alcuni dei più bei pezzi scritti tra gli "80" e i "90", spaziando dagli Smiths a Carla Bruni.
E fu così che ripassando nei pressi del pub incriminato, sarei voluto tornare indietro di una sera e facendo il verso alla voce narrante del film recitare ai due piccioncini la frase: "questa è la storia di un lui e di una lei, ma tanto vale chiarirlo subito: non è una storia d'amore".

martedì 20 settembre 2011

Una giornata di ordinaria follia.

Se dovessi lanciarmi in un parallelismo cinematografico, direi che questo strano martedì di fine settembre assomiglia pericolosamente al film "fuori in 60 secondi" dove un Nicholas Cage pieno di risorse doveva rubare in meno di un minuto, una quantità potenzialmente illimitata di supercar, possibilmente senza farsi beccare.
Posto che gli esiti della mia giornata lavorativa son ben lontani da quelli del nostro caro divo di Hollywood, va comunque detto l'adrenalina, oggi scorreva a fiumi. La mia prima lotta impari è scattata alle nove di mattina, di fronte a un plotone di ufficiali giudiziari che non volevano prendere in carico un atto. Come tutti gli appartenenti alla PA ciascuno di loro aveva una motivazione diversa -ma comunque inconsistente- a sostegno della propria tesi negatoria. La soluzione, come sempre, l'ho trovata paventando l'intervento di un non meglio specificato funzionario, che ha gettato nel terrore (con un bluff colossale) ben quattro coriacei impiegati. Poi c'è stato un fantastico tour della bassa padana col mio capo, che guida come un pilota da rally, ma è distratto come un quindicenne innamorato.
Morale della favola, da pessimo copilota, ho passato tre quarti del viaggio a pregare i miei santi in paradiso, appiattito come un gatto tra sedile e finestrino, rivivendo, nel sorpasso da roulette russa e successiva frenata -a sfiorare un trattore- il film della mia vita.
Il pomeriggio, in puro stile amarcord, ha aperto le danze ri-portandomi, dopo tanti anni,  al cospetto di una vecchia conoscenza universitaria, che a conferma di quella teoria secondo cui, le cose come le persone lasciate a se stesse peggiorano, ha risposto a un mio affettuoso ciao dandomi del lei, come a un imbonitore che si presenta davanti alla tua porta per vendere qualcosa che non vorresti mai comprare. Questa è forse la situazione che più i tutte mi ha lasciato una brutta sensazione addosso, perchè ancora ho il brutto vizio di credere che i rapporti che hai consolidato da ragazzo, non possano essere sporcati dalle contraddizioni del diventare grande. Tutt'attorno, la sottile e immancabile sensazione di fluttuare nel vuoto, dopo aver attentamente soppesato gli impegni da portare a termine entro la settimana, realizzando, nei fatti che "NON CE LA POTRO' MAI FARE". La coda (finale) è degnamente rappresentata da  un marito che accusava la moglie di menarlo. Mi veniva da ridere, ma non l'ho fatto, anche se poi, arrivando a casa non ho potuto esimermi dall'ascoltare "la mia ragazza mena" degli articolo 31, chiedendomi quali arcane motivazioni possano condurre un essere pensante a sposarsela, la piccola boxeuse in questione....