martedì 13 novembre 2012

Flying with Ryanair

In prinicipio fu Alitalia o Meridiana, a seconda dell'aeroporto di partenza. Correva l'anno 2001 io ero un timido studentello fuori sede al primo anno di università e le compagnie "low cost" una lontana ipotesi. Spendevo cinquecentomila lire a volo, limitando cosí i miei ritorni a casa alle sole feste comandate e partivo ad orari assurdi, tipo le sei e mezza di mattina, a cui aggiungere un odissea che cominciava almeno quattro ore prima per raggiungere lo scalo, farmi checkinare (non da uno col fucile di precisione appostato incima ad un palazzo peró...) ed infilare il bagaglio da stiva su di un rullo, dopo averlo fatto etichettare dalla signorina di turno.
I miei compagni di viaggio erano eleganti Signori in doppiopetto, che vestivano Burberry e profumavano di Penhaligon's, giustificando cotanto british style con l'essere dei manager in carriera che facevano su e giú tra la Sardegna e il "continente". Le regole del galateo non erano troppo dissimili da quelle di un ciricolo privato, con gli ospiti che ordinatamente si accomodavano su posti preassegnati e restavano in attesa che un'hostess dai tratti delicati e femminei porgesse loro quotidiano da sfogliare, salvietta rinfrescante, caramelle e colazione. Magari ogni tanto ci si scambiava un'occhiata d'intesa col vicino di posto, sempre peró con grande understatement e distaccata cortesia.
Anni dopo un qualche zelante politico s'inventó la storia della continuità territoriale. Praticamente la regione se eri nativo o residente ti pagava metà del biglietto o giú di lí, con l'unico inghippo che le compagnie aeree, fiutato l'affare, iniziavano a marciarci dentro, peggiorando la qualità del servizio a scapito dei nuovi clienti "plebei" e levando ai poveri cristi come il sottoscritto i privilegi del biglietto a prezzo pieno. Quindi: no salvietta, no giornale, no colazione e caramella forse (alquanto stantia peró).
Poi, quando i nativi non residenti sono stati esclusi dalla tariffa agevolata per lo scrivente è cominciata l'era Ryanair.
Ricordo che gli albori la compagnia praticava delle tariffe da urlo, tanto che per il volo inaugurale da Parma a Londra io ed i miei allegri compari avevamo sborsato si e no tre euro a cranio. Ma quel che voglio raccontare ha a che fare in maniera solo marginale con i prezzi. Viaggiare made in Ireland è una sorta di avventura all'ultimo respiro ed all'ultimo giro ne sono successe veramente di tutti i colori. Il fatto che la compagnia prevedesse il check in on line ed il fatto che in vista della partenza avessi deciso di soggiornare a poca distanza dall'aeroporto non mi ha certo salvato dall'imponderabile. Giunto sul posto con quasi due ore d'anticipo sull'orario di partenza del volo notavo una strana fila di fronte ai controlli di sicurezza. Camminavo per quasi settecento metri, ripercorrendo a ritroso quella marea umana, senza riuscire a trovare l'inizio dell'immenso serpentone. Che manco a dirlo, cominciava laddove finiva fisicamente l'aeroporto. Ricapitolando: qualcosa come due o tremila persone in fila, dieci addetti per circa cinque metal detector, diverse centinaia di metri da percorrere (con l'ultimo tratto labirintato) ed un volo in partenza. Queste sono le classiche circostanze in cui gli esseri umani danno il peggio di sè. Il mio angolo d'umanità era rappresentato da una suora che tentava il sorpasso ai box in danno degli altri viaggiatori, un signore distinto ed una badante rumena con prole al seguito. C'erano anche un paio di coppiette incredibili, nel senso che i due componenti maschili, conosciutisi in ufficio tre o quattro giorni prima avevano deciso di organizzare una vacanza di gruppo con le rispettive compagne, cosí che faticavo seriamente a capire chi tra loro fosse piú a disagio, mente organizzatrice a parte. Che poi era il lui della coppia meno giovane, il classico tipo alla vorrei ma non posso che cerca sempre di fare lo splendido. Di quelli che hanno il portachiavi di Cartier ma una vecchia Punto in garage e parlano di posti esotici e modelle anche se l'estate prima sono stati in vacanza con la nonna novantenne a Cesenatico. Mentre ragionavo su quanto tempo avesse impiegato a coinvolgere nei suoi diabolici piani il suo compare dalla faccia decisamente grulla, realizzavo che stante la velocità della fila, che avanzava rapida come un bradipo zoppo il mio volo era da considerarsi a rischio. Pensiero, peraltro, condiviso anche dai miei vicini di fila, che iniziavano a dare chiari segni d'insofferenza, ognuno a proprio modo. La suora abbatteva a colpi di trolley un'elegante signora che aveva provato a passarle avanti adducendo strane scuse, assolvendo peró la malcapitata dai propri peccati prima di sferrarle il colpo di grazia. La rumena, invece, iniziava a piangere e lanciare maledizioni zingaresche, chiedendoci di passare avanti in nome dei figli. Mentre io tentavo una difficile mediazione, spiegandole che ero nella cacca almeno quanto lei, il signore distinto di qualche rigo fa, prima la ammoniva sul fatto che gli stranieri come lei fossero irrispettosi delle regole italiane e poi, afferrandosi ad un divisorio, saltava ben due incanalamenti della zona labirintata, lasciandosi alle spalle almeno duecento persone. Mentre, con l'ausilio di voce e diaframma scandivo all'indirizzo del soggetto in questione un sentitissimo "Vaffanculo!!!" m'inerpicavo a mia volta sul divisorio, deciso ad arrivare al gate anche a costo della vita. La diretta conseguenza della mia azione era una di quelle scene che si vedono soltanto nei film apocalittici. Una marea di gente in procinto di perdere il volo seguiva il mio esempio, non so se per saccagnarmi di botte o per un atto di pura ribellione verso l'autorità preposta. Fatto sta che i poveretti venivano faticosamente arginati dalla vigilanza mentre tre guardie mi si paravano davanti minacciose. Cos'è il genio dunque?! Fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione. Cosí dopo aver riasettato il mio trench osservavo i tre tutori dell'ordine con sguardo pensoso e commentavo "È davvero disdicevole che la gente non sappia rispettare le file" I tre, dapprima sbigottiti, si scusavano e con deferente ossequio mi lasciavano passare oltre. Mi sentivo come il personaggio del film "Fuori in sessanta secondi" anche se di minuti me ne restavano sette e dovevo raggiungere il piano superiore dell'aeroporto. Ma le mie sfighe viaggianti non erano cessate. Una guardia s'interessava ad un sacchetto di riso dentro al trolley, salvo poi desistere davanti alla mia minacciosa offerta di una cenetta a due a base di zafferano e barbera. Poi seguiva la corsa folle verso il gate di riferimento, che nei moderni aeroporti è raggiungibile solo dopo esser passati per un dedalo di negozi del duty free, dopo essersi persi ed aver sacramentato piú e piú volte.
Alla fine arrivavo a destinazione, piú morto che vivo ma vincitore. Senza peró aver fatto i conti con quella cosa chiamata imbarco.
Innanzitutto misurano il bagaglio, facendotelo infilare in una gabbia ferrosa, progettata apposta per far si che tutti i tuoi miseri averi ci si incastrino dentro, senza possibilità di recupero. Le hostess se ne fregano se il trolley di un malcapitato si pianta lí dentro, allertando semplicemente gli omini delle pulizie, qualora un anziano passeggero cada a terra esanime dopo aver cercato invano di liberare il proprio bagaglio a mano dal diabolico strumento. Ovviamente quelle piú in difficoltà di tutti sono le donne con la borsa di Mary Poppins a tracolla, che hanno già stivato la valigia al limite delle possibilità umane e vengono messe davanti alla scelta di salire a bordo con un unico collo o non partire affatto.
Dopo ti scaglionano e strappano via metà del foglio A4 che costituisce il biglietto di viaggio. Prima passano avanti i passeggeri che alla modica cifra di tre euri hanno acquistato un diritto di priorità, peraltro molto relativo, nel senso che la marea umana di non paganti viene sguinzagliata alle loro spalle cinque o sei secondi dopo, che sono effettivamente pochini per salvarsi la vita. Cosí i malcapitati (quasi sempre anziani in sedia a rotelle o famigliole con bimbi in passeggino) vengono probabilmente trucidati dalla calca durante le operazioni si salita a bordo o, meglio, arrembaggio.
Il tutto assomiglia all'arrivo di un container pieno di cibo in una qualche zona del terzo mondo. Tutti ci si fiondano addosso in preda ad una sorta di estasi mistica, decisi a conquistare il proprio posto. I pochi metri che separano l'aeromobile dal terminal sono fondamentali. Io sceglo sempre di salire a bordo dalle porte posteriori. Quelle davanti sono piú vicine e quindi vengono subito ingorgate da vecchi e bimbi minchia, che in tema di lungimiranza sulla strada da seguire hanno molto in comune con la pecora media. Quí è tutto un fatto di agilità, nel senso che se vuoi viaggiare senzala valigia tra le gambe devi essere sufficientemente lestro a lanciare il trolley sulla cappelliera e, col movimento di richiamo (triplo carpiato con avvitamento) disporti sul sedile. Nel corso di questi viaggi spero sempre che mi capiti vicino qualche persona interessante, magari un'abile conversatrice con cui combattere il senso di claustrofobia che danno i sedili ultra ravvicinati. Cosa che ahimè non capita mai. A questo giro, per esempio, mi è toccato in sorte un tamarro. Di quelli veri, con sopracciglia rifatte, tatuaggi a gogó ed evidenti menomazioni della favella, capace solo di gorgogliare qualcosa, in tono alieno, quando un altro passeggero, colto da improvviso attacco di panico ha deciso di non partire piú, costringendo tutti quelli che avevano bagagli in stiva a scendere dal mezzo e riconoscere il prorio borsone, per scongiurare il rischio di attentati terroristici. Scena finale dedicata ad un ometto di mezza età, reo di aver aperto la cappelliera in fase di atterraggio: una voce gutturale, tipo SS levatasi dagli altoparlanti, gli intimava un minaccioso "chiudaimmediatamentequellacappellieraperlasuasicurezzaequelladeglialtripasseggeri". Lui al pari del pinguino Kowalsky sprofondava suadente sotto al sedile sussurrando un "....Tu non hai visto niente...".
Poi, tanto per dire sono anche arrivato a destinazione ...papparapapparaparapapa (musichetta trionfale da atterraggio, che mi da sempre l'idea del "anche stavolta siamo sopravvissuti")

giovedì 8 novembre 2012

Tornare a casa a novembre...

...è un pó come ammettere di avere una qualche questione irrisolta o forse solo la voglia di ripartire da lí dove tutto si era fermato.
Magari consiste anche nell'idea piú o meno inespressa di dover crescere, anche e soprattutto quando vorresti tornare piccolo, misurando la differenza tra ció che eri e ció che sei attraverso l'impietoso metro del cambiamento.
Concretamente implica il fatto di andare a trovare la mamma in cimitero quasi tutte le mattine, il pranzo dalla nonna a mezzogiorno e due lunghe camminate in mezzo alle vie dei ricordi, inesorabilmente uguali a se stesse.
È l'inevitabile contraddizione del dover distinguere i pochi che sono effettivamente felici di vederti e si preoccupano di come stia andando la tua vita dai tanti che gioiscono di tutto cuore nell'apprendere dalla viva voce del diretto interessato che le cose hanno preso una gran brutta piega.
Forse e dico forse potrebbe anche estrinsecarsi in un nuovo divano color tabacco su cui poltrire ore ed ore in attesa dell'ispirazione.
Significa magari allineare davanti a se tre vecchi cellulari e ripercorrere mentalmente un sentimento in formato sms. Perchè alcuni non riesci proprio a cancellarli.
E'la mancanza che percepisci tra la cucina ed il salotto, la voglia di raccontare la tua storia del giorno a qualcuno che non c'è, imparando faticosamente a comprendere il significato della parola assenza.
Insomma, tornare a casa a novembre puó rivelarsi un'idea contraddittoriamente infelice, non fosse altro per il fatto che il mese in sè ha la naturale tendenza a rubare qualche metro di speranza a chi lo incontra. Resta sempre, alla fine, il desiderio di ripartire, in considerazione del fatto che non si è mai abbastanza prudenti nel frapporre una ragionevole distanza tra se e i ricordi.

venerdì 19 ottobre 2012

Weekend e variazioni sul tema

Il mio peggior difetto è il non saper dir di no anche quando dovrei farlo. Potrebbero convincermi ad affittare un loft su Giove, fare una nuotatina in un mare infestato da squali o chiedere ad un ultraottantenne logorroico di raccontarmi la storia della sua vita. Sono davvero pessimo. Soprattutto al Sabato, quando avrei solo voglia di restarmene a casa in pantofole e celebrare la grandezza del mio trentadue pollici HD ed invece vengo costretto a uscire per impegnare tempo, denaro ed energie in qualche impresa dalla dubbia utilità.
E passi pure la mia dolce metà, che in preda a deliri da shopping compulsivo mi trascina in qualche esclusivissimo negozio di Mailand solo per osservare, in un'estasi mistica che ben poco comprendo, le ultime ballerine di Jimmy Choo. Ma non i suoi amici. M. & F. sono una coppia in crisi con pargolo in arrivo. Lei è la famosa protagonista in rosa di F.&F., lui l'eroe negativo della situazione, nel senso che tutte le amiche di lei lo odiano per come la sta trattando ed i rispettivi fidanzati di costoro, per contro, si chiedono grazie a quali super-poteri sia riuscito fin d'ora a passare indenne attraverso ben tre tradimenti conclamati.
Fatto stà che tre fine settimana su quattro ci tocca cuccarceli, con la mia girl che consola l'amica affranta ed il sottoscritto che medita di lanciare addosso al proprio dirimpettaio una boccetta di acqua benedetta, tanto per vedere se al contatto prende fuoco rivelando cosí la sua reale natura diabolica.
Capita quindi anche a me, in un mercoledí pomeriggio a caso, d'incarnare la parossisitica figura dell'uomo sbagliato, nel posto sbagliato, al momento sbagliato e di rispondere con un "Vedremo" all'invito che il cornificatore professionista aveva deciso di estendermi in vista della locale Beer Fest.
Che poi per me il concetto di "Vedremo" sia qualcosa a metà strada tra un "niet" ed un "col cavolo che vengo" poco importa, in particolar modo se la tua controparte lo prende per un si convinto e gioioso.
Vero è che un anno prima avevo opposto minori resistenze a predetta richiesta, ma stavolta la cappellata l'ho fatta a ragion veduta,con tutte le prevedibili conseguenze del caso.
Ecco, vi dico solo che il capannone industriale in cui si svolge l'evento ( mistificatoriamente definito "Stand") si trova a cinquanta metri da una fabbrica di lievito. Una delle cose piú puzzose in natura, al cui confronto una fogna Indiana sembra un mega tester di Chanel nº5.
Se questo non bastasse, ecco arrivare le immancabili co-protagoniste della serata: le amiche zitelle. Sono di quei personaggi mitologici che si materializzano solo in occasione della Beer Fest incriminata e poi spariscono misteriosamente, quasi non fossero mai esistite. Una è bionda sul bruttino andante, alla Bridget Jones della prima ora, la seconda è la versione cessosa di Amelie, quella del fantastico mondo, dopo la dialisi peró. Ad onor del vero ho omesso di raccontare che la prima delle due si è immorosata, con un tizio che a occhio e croce avrà dieci anni meno di lei e l'altra, per ripicca, ha tirato fuori dal cilindro un'amica di riserva: la piú brutta del trio.
Morale della favola, recuperate quelle che da quí in avanti definiró le tre grazie (in rigoroso ordine di apparizione: Grazia, Graziella e Grazie al caxxo) ed il fidanzato infraquattordicenne, on y va a la fetê.
Recarsi all'unico evento sociale della provincia, per giunta alle otto e mezza di Sabato sera è qualcosa di abbastanza simile ad un suicidio assistito. La fila di auto nonostante l'olezzo lievitante cominciava un paio di chilometri prima dei cancelli d'ingresso, dove uno stuolo di volontari di giallo vestiti, annunciava mestamente agli avventori che i parcheggi erano esauriti.
Dopo numerose sacramentazioni e la tentazione, parecchio forte, di abbattere i volontari di cui sopra come fossero birilli, il nostro eroe (cioè io) trova finalmente parcheggio in un campo arato di fronte al lievitificio.
Il leit motiv della serata erano i cinque euro, dato che tutto, ma proprio tutto, dall'ingresso alle birre, costava cosí. Pure i panini ahimè, che nonostante i prezzi da "Four Seasons" di Porchetta avevano giusto un'ombra. Delle birre poi non parliamo. In base all'assioma cardine del buon bevitore, qualsiasi bionda,vrossa o scura versata in un bicchiere di plastica prende un saporaccio, per quanto valido possa essere il prodotto iniziale. Aggiungiamo poi (ma questa è una notazione di carattere personale) che da qualche anno a questa parte spuntano come funghi i birrifici artigianali, dove degli snob dell'ultima ora producono dei beveroni imbevibili tipo la birra alle castagne, che già dopo il primo sorso opteresti per la soluzione di restare astemio a vita.
E quí succede il patatrac, perchè il moroso fedifrago si offre di andare a prendere una birra anche per il sottoscritto allo Stand del birrificio "La Cavallina" ubicato due metri ad est rispetto al gruppo e poi sparisce, per ben tre quarti d'ora. Tutti a chiedersi dove fosse finito, con la puerpera in angoscia ed il nascituro che scalciava, alla ricerca del papà perduto. Poi...L'inimmaginabile...O forse sarebbe meglio dire il conoscibile, se solo fossi stato capace di decifrare per tempo il rebus contenuto nelle sue ultime parole... La Cavallina, lui era andato a correrla, esattamente dall'altra parte della sala, dove probabilmente camuffata coi baffi e l'impermeabile da ispettore Gadget c'era l'amante! Che meraviglioso clichè esclamavo nel silenzio della mia mente! Purtroppo, F. intuita la piega che la situazione aveva preso, non si dimostrava altrettanto entusiasta dell'accaduto ed al ritorno del suo principe azzurro lo ricorpiva d'insulti, davanti alle tre grazie inebetite, alla mia bella furente ed al sottoscritto, costretto ad atti di autolesionismo sulla propria persona per evitare di far deflagrare l'intimo sentire in una fragorosa risata. A prescindere dai perbenismi quell'uomo lí è un genio del male! Moralmente parlando, i peggiori delinquenti che ho visto scorrere davanti a me in oltre tre anni di vita forense, sono agnellini al suo confronto.Insomma, come puoi mettere le corna a una che porta in grembo tuo figlio senza sentirti una carogna?! Ma soprattutto, come riesci ad evitare un sacrosanto e meritatissimo linciaggio?! Temo seriamente che queste domande rimarranno senza risposta, come quella relativa ai disturbi socio-relazionali degli organizzatori della festa, che ancora oggi mi assilla.
Atto primo:cover girl di Tina Turner, con la faccia da transessuale brasiliano e una voce in linea coi connotati esteriori,che dopo aver funestato l'intero repertorio della pantera di Nulbush,chiude si fa per dire in bellezza rovinando la Turandot di Puccini con un'interpretazione elettro/dance del "Nessun dorma".
Atto secondo:presentatrice della serata (faccia da nave scuola del paesello) che sentendosi in competizione con la raffinata musicista di cui sopra, prima declama il proprio prestigioso curriculum artistico (tre anni a SalameTV, quattro a FoxVacche e via cosí...) e poi trionfante annuncia "Cari spettatori,come saprete io sono la sosia italiana di Sarah Jessica Parker!" (Dopo la dialisi, come sopra...) ...Reazione: Pubblico ammutolito...
Atto terzo: "Carrie Bradshaw de noartri" regala alla serata il proprio personalissimo punto di non ritorno:"E adesso signore e signori applaudite con me la superstar del paese, nonno Ermete, il vero sosia di Robert De Niro!" Oddio. Oddio. Oddio. Questo il mio unico pensiero, nel vedere salire sul palco un vecchio rubicondo con vestito a quadrettoni anni 70. Somigliava al meccanico di mio nonno, piú che a De Niro e ben presto SJP in salsa "lumbard" doveva sottrargli il microfono, per impedirgli di dimostrare che un mix di demenza senile ed alcool possono abbassare ulteriormente il livello di una serata fallimentare.
Atto quarto: saró breve, perchè la rap band di paese subentrata a nonno Robert, in un drammatico ricambio generazionale, ha solleticato i miei peggiori istinti omicidi in senso musicale.
Erano talmente pessimi da rimettere pace in seno alla coppia scoppiata. Non tutte le canzoni d'amore sono canzoni d'amore no?!






lunedì 8 ottobre 2012

Cuatro tontos en Barcelona

"Avete preso i Voucher?!" Ecco, appunto. Le partenze per i viaggi memorabili cominciano sempre con una domanda cretina, meglio se a copyright del papà di uno dei tuoi migliori amici, che fino a quella sera non ti spiegavi come avesse potuto mandare gambe all'aria la florida impresa di famiglia. D'altra parte il personaggio in questione serbava in se tutta la grandeur medio borghese del provinciale benestante che ama riempirsi la bocca con termini esotici di cui percepisce vagamente il significato (ed ancor meno la pronuncia...).
Seguiva un mio sorriso falsissimo, modello Giuda che bacia Gesú, una disarmante spiegazione sul fatto che quattro studenti non potevano certo organizzare un viaggio in terra spagnola armandosi di voucher e che contrariamente alle aspetttive paterne il rampollo di famiglia avrebbe abdicato al lusso in nome di qualcosa low low low cost.
Rewind.
Non so come fosse saltata fuori l'idea di Barcellona, probabilemente in uno di quei momenti di follia in cui M. Prende le iniziative suicide, F. decide di seguirlo ed io vengo trascinato per i piedi. Nel baratro.
I biglietti per il baratro, nel nostro caso, li vendevano in un posto chiamato "I viaggi di Sossi" ubicato all'ingresso della tangenziale est e gestito da due gemelle affette da principi di nanismo e dal fidanzato di una di loro (o di entrambe, tanto non se ne sarebbe accorto), un egiziano di nome Salla.
Costui aveva un che del Re scorpione, nell'aspetto, ma la parlata purtroppo era tale e quale a quella dell'aiutante scemo di Marco Polo nella pubblicità della Telecom e l'intraprendenza pure.
La scena comicamente surreale era rappresentata da noi quattro, allineati dietro al bancone che gli chiedevamo di trovare un Hotel a Barcellona con parcheggio incluso e lui che cinque volte di fila telefonava ad un misterioso personaggio e proferiva d'un fiato la seguente tiritera :"Salveeeee sono Sallaaa Sossi Viaggiii prenotare Hotel per quattrooo Madrid..." seguiva coro da stadio con cui noi precisavamo "B-A-R-C-E-L-L-O-N-A!" lui si scusava, correggeva il tiro e riattaccava. Salvo riproporre il medesimo sketch alla chiamata seguente.
Dopo lunghe e penose sofferenze il nostro tronfio faraone ci informava di aver trovato un quattro stelle a duecento euro l'Hotel "Auto Hogar". Qualche settimana dopo avremmo scoperto che 3,5 di quegli astri dovevano essersi persi nella notte di S. Lorenzo.
Forward
Eravamo rimasti ai voucher, che quella sera non sarebbero stati l'unico titolo cartaceo a funestare la nostra partenza. Bisognava ancora passare a prendere D. con tutto quello che l'avventurarsi a casa sua avrebbe comportato.
Come raccontavo qualche post fa D. ha sempre avuto le manie, intese come eccentriche ed insalubri passioni che svilpuppava ed abbandonava nel volgere di pochi mesi. Quello era il periodo della Kickboxe e dei tarocchi. Adesso potrete immaginare la mia faccia quando, varcando la soglia di casa sua sono stato accolto da una dimostrazione di calci rotanti contro la libreria del salotto. Ed ancor meglio potrete immaginare dove sia finita la mano destra dopo che il caro amico aveva insistito per leggere i tarocchi sul mio futuro amoroso, con l'inquietante risultato della morte a testa in giú!
La scelta del mezzo con cui affrontare il viaggio della speranza che ci avrebbe condotto in Catalogna si era rivelata particolarmente combattuta, con improvvise variazioni tra lussuose berline e sgangherate utilitarie, salvo poi ricadere su una Volvo. Vecchia come i sassi peró, con incluso atlante stradale europeo datato 1986, tanto per mettere i puntini sulle i a riprova del fatto che di viaggio della speranza si trattava.
Sciropparsi mille e rotti chilometri in macchina puó essere vagamente letale, soprattutto se parti da casa alle dieci di sera.
F. aveva preparato per noi un mix dopante a base di M&Ms e Red Bull, col sottoscritto che ad ogni sorsata/sgranocchiata si avvicinava sempre piú al nirvana. Quantomeno per il sapore, degno dei peggiori yogurt al melone che albergano in certi strani frigoriferi felsinei (cit.)
Quando si va a Barcellona in macchina le colonne d'ercole sono rappresentate dallo svincolo autostradale di Nizza, dove si hanno piú o meno 15 opzioni diverse, dei cartelli verdi scritti in aramaico antico ed un tempo variabile tra i 2 ed i 3 secondi per decidere il da farsi.
Credo di aver voltato a sinistra, raccomandando l'anima al diavolo ed incrociando le dita dei piedi, mentre gli altri dormivano beati.
Sei ore e due soste dopo a svegliarmi erano le note di Freddie Mercury e le urla di M. che, alle porte della Catalogna, aveva deciso di avviare un curioso siparietto con due motociclisiti.
Loro mimavanoal nostro indirizzo un gesto simile allo starnazzare di una papera, battendo quattro dita sul pollice, lui continuava a mostrare il dito medio.
E fu cosí che al grido di "ci stanno dando dei mangia merda" il nostro decideva di seguire i malcapitati centauri in autogrill, dove, dopo una mezza rissa verbale, uno di loro sottolineava che ci eravamo scordati di spegnere i fari...
Soddisfatti del fatto di esserci resi protagonisti in negativo ancor prima di entrare in città, facevamo quindi rotta verso l'hotel.
Pretendere di arrivare a Barcellona con una cartina dell'86 è utopistico, sperare poi digirarci dentro addirittura fantascientifico. Perció dopo aver maledetto F., le edizioni Deagostiini e le nozioni geografiche di D. (che su una delle Rambla sosteneva di aver visto niente meno che il Consolato Spagnolo) arrivavamo finalmente all'hotel... Ecco, non affidatevi mai ad un agente di viaggio egiziano. Almeno in cui non vogliate ritrovarvi in un posto che si chiama "Auto Hogar" e che ha il parcheggio integrato nella reception, roba che se sbagliavi la retro accoppavi il concierge.
Le camere erano tremendamente sporche, con delle brandine tipo cella ed un affaccio panoramico su un cortile/discarica dai contenuti indicibili. In reception stava un tipo antipaticissimo identico a Pino Insegno, che fongeva di essere affetto da gravi turbe auditive ad ogni nostra domanda.
La città aveva il fascino decadente dei vecchi porti di mare, con le sue enormi contraddizioni, date da quartieri eleganti e patinati a viottoli in cui la polizia sconsigliava di avventurarsi. Inutile dire che nel nostro provincialismo ante litteram alcune cose finivano col farci correre un brivido lungo la schiena. Tipo il tossico che si faceva in vena alle dieci di mattina di fronte all'albergo ed un ciccione completamente nudo che ci sfrecciava di fianco su una delle vie principali.
La vita notturna poi, confermava il pessimo trend del nostro inizio di giornata. Io venivo spossessato di cinque euro di resto da una cameriera bionda che continuava a dire "Yo soy de Mallorca lalalala!" ed M. dopo essersi lavorato una biondina per quasi tre quarti d'ora subiva un umiliante sorpasso ai box dal sosia di Conan il barbaro. F. nel tentativo di dimenticare il perduto amore dell'epoca, tracannava qualcosa come 14 bottigliette di birra Foster, salvo poi mettersi ad insultare il nordico rivale amoroso di M. che, per nostra fortuna, di italiano non capiva un tubo. D. dava calci ai lampioni e questo vi basti.
Io ed M. eravamo in camera assieme, motivo per cui ci ritenevamo autorizzati a fare scherzi da prete agli occupanti delle stanze adiacenti. Tutto era nato quando, la seconda mattinata spagnola, si era aperta con delle milanesi spocchiose, che nella hall, ci avevano additato come "cafoni chiassosi". Allora come adesso, pur essendo una persona aperta alle critiche non tollero la falsità. Cosí la notte successiva, seguito dal mio fido compare giravo tutti i cartellini delle camere sul nostro piano, dalla posizione "Do not Disturb" a "Admission Free", propiziando per le nostre connazionali la visita inattesa della donna delle pulizie: alle sei di mattina! Nel sentirle imprecare, qualche ora dopo, travolte dal piú brusco dei risvegli sentivo crescere in me un sottile senso di soddisfaziine. Cafone si, ma incredibilmente silenzioso.
Il day three ci vedeva calcare le scene di Lloret de Mar, la Rimini spagnola. Spiaggia con sabbia a grana grossa e onde fortissime, con noi che cercavamo di entrare in acqua e venivamo rigettati pesantemente arriva. Mentre i miei bermuda pieni di sabbia,tradivano una'ostinazione tutta personale ad andare controcorrente, una specie di barcone piombava in acqua alle mie spalle, facendomi stabilire un nuovo record dei cinquanta stile libero.
Abbandonate le velleità natatorie, dirigevamo le nostre energie verso il sociale. Interi eserciti di inglesi ubriachi marci da metà pomeriggio infestavano le vie di questa particolare cittadina ed uno di loro giaceva riverso in strada. Alla ricerca della redenzione, io ed M. ci avvicinavamo a lui per prestargli soccorso e dopo averlo scosso assistevamo ad una vomitata degna de "L''esorcista". Prosit.
E poi si andava a donne. Con esiti quantomeno dubbi:
-Primo assalto: birra offerta a due bionde teutoniche, due di picche secco e otto euro in meno.
-Secondo assalto: chiacchierata su divanetto con alcune tipe di Aosta, io di ritorno dal bagno incrocio M. che mestamente mi annuncia di aver piazzato la frittata e poco piú in là una delle due che,imprecando, maledice il nostro eroe reo di averle rovesciato una birra addosso.
La serata si chiude in bellezza, con D. che pizzicato a dar calci rotanti ad un lampione veniva malmenato dalla gendarmeria locale, io che a causa di un commento inelegante sfioravo la rissai con one big black men ed un ritorno in macchina dove abbiamo rischiato bellamente di finire giú da un cavalcavia. Ottimo insomma.
Comicamente, le mattinate erano scandite da un'evento imperdibile, la Gazzetta del D.
Lui usciva a comprarsela presto presto, andava in spiaggia da solo a prendere il sole e tornava in camera per leggersela tranquillo. Senza fare i conti con F., che da pessimo personaggio qual'è gliela fregava da sotto il naso e gliela ridava tutta stropicciata, mandandolo su tutte le furie. Solo che il Giovedí successivo non riuscivamo a capire dove fosse finito, dato che a mezzogiorno ne di lui ne della Gazzetta v'era ancora traccia. F. non si capacitava di dover cominciare la mattinata rinuniciando alla sua lettura preferita ed io, avevo una fame tremenda. Ad un bel momento la rivelazione: si era addormentato per cinque ore sotto al sole della spiaggia cittadina. Color rosso aragosta, febbre a trentotto e niente Gazzetta. Seguiva un conciliabolo durante il quale ci si rimpallava l'onere di cospargere il nostro infuocatissimo amico di doposole...sulla schiena...Omofobi com'eravamo ( e come siamo) ce la giocavamo alla morra, con F. che piú torvo che mai, incremava il grande ustionato con la grazia di un muratore che da la prima mano d'intonaco.
Aperta parentesi: las zapatillas de atletismo.
Ecco, mai andare in vacanza con uno che fa atletica leggera e cerca delle scarpe da runner. M. ce l'ha fatto fare per tutta Barcellona, con medie chilometriche da maratoneti keniani. Perchè nonostante i giochi risalissero a dieci e rotti anni prima per lui Barcellona era sempre città olimpica e le sue dannate scarpe chiodate valevano bene lo sforzo di percorrerla a piedi alla ricerca dell'ennesima tienda de atletismo, che peró tutto aveva tranne che quelle.
Nel corso della nostra missione da legionari romani, armati di pilum e bramosie di conquista, decidevo di risolvere la carenza femminile a modo mio, approcciando un gruppetto di tipe sulla Sagrada Familia.
"Ce ne fosse stata una decente!" commentava F. avvilito qualche sera fa. Sarà per questo che appena una di loro proponeva di andare a pranzo assieme, lui faceva valere i suoi 194 cm e mi allontanava a forza dal gruppetto in rosa.
Certe vacanze proprio non si scordano. Neanche volendo.



venerdì 28 settembre 2012

Question of timing

Ultimo passaggio a Parma, giusto per regolare un paio di faccende professionali ancora in bilico, salutare gli amici di sempre ed andare  a mangiare qualcosa da Frank Focaccia.
....Ed incontrare di nuovo quegli occhi. Dopo soli tre mesi e forse, in un certo senso dopo tre lunghi anni.
La ragazza dal sorriso di perla ha i capelli più corti adesso.
Camminava di fronte a me nella via degli antiquari, con una borsa dalle trame etno curiosamente portata a spalla. Camminava  e sorrideva, nel raccontare non so quale mirabile storia all'amica che le stava accanto. Non ho avuto il coraggio di superarla, perchè facendomi vedere avrei interrotto la magia del momento, perdendo le variazioni del suo sorriso sotto la luce di pesca del tramonto.
La voce interiore degli insalubri consigli mi sussurrava di seguirla, camminando ancora per qualche centinaio di metri oltre la mia originaria destinazione. Ma così non doveva e non poteva essere, per una serie di ragioni ovvie, che circoscrivono le fascinazioni al campo dei desideri irrealizzabili. Così ho infilato il portone di casa, convinto di scrivere la parola fine ad un capitolo intitolato "ipotesi di remota verificazione".
Ma quì entra in gioco Frank Focaccia, che oltre ad essere la mia seconda panineria preferita della città è anche una delle mete d'elezione per i nostri pranzi infrasettimanali.
Come da tradizione arrivo a questi incontri sempre trafelato, con la cravatta allentata, la giacca appesa al braccio destro e l'incedere furioso di chi ha avuto una mattinata vissuta al limite delle possibilità umane.
Così mentre cercavo di infilarmi nell'accrocchio di sedie che da sul plateatico esterno,  provavo per una frazione di secondo quella strana sensazione che si ha nell'intravedere la sagoma di un'altra persona su una spiaggia completamente deserta.
E quando F. qualche minuto dopo, mi chiedeva incuriosito se conoscessi la ragazza che due tavoli dietro al nostro continuava a fissarmi, rischiavo neanche tanto metaforicamente di cascare dalla sedia.
Perchè avevo la netta percezione che si trattasse di lei ancor prima di vederla e a ben pensarci, non avevo grandi idee su quale atteggiamento sarebbe stato più consono adottare.
In fondo, se sei strafidanzato ed innamorato non ha un gran senso sottoporre al vaglio della realtà una seppur magnifica aspettativa.
Così mi limitavo a guardare F. e terminavo senza troppa soddisfazione il mio pranzo.
Al momento di andar via le passavo accanto cercando di dare l'impressione di chi è troppo preso dai propri pensieri per dare un peso specifico al resto del mondo, non potendo però fare a meno di ascoltare il suono della sua voce. Una cosa nuova e particolare anche per me.
Poi, qualche passo dopo mi fermavo e volgevo irrazionalmente lo sguardo nella sua direzione. Mi osservava e sorrideva, accompagnando ogni mio passo con quegli occhi e quel sorriso che per trenta secondi buoni riprendevano a danzare con la mia anima. 









venerdì 14 settembre 2012

Un reality da condominio

Mia madre diceva che ero, sono e saró sempre un impiccione, circostanza che per una serie di motivi non potró mai smentire. Aggiungiamo poi che ho sempre avuto degli amici pettegoli, tipo comari o giú di lí, roba che il poveretto di turno non aveva neanche voltato l'angolo e subito si scatenava una ridda di commenti taglienti e gossip da format pomeridiano. Errare è umano in fondo e come il riccio che amoreggiava con la spazzola continuo a ripetere che farlo mi fa sentire divino...
Nuova vita e nuova casa per il sottoscritto, come peraltro già anticipato nei precedenti post ed inevitabilmente, nuovi vicini. Intransigenti,decisamente intransigenti. Roba che per cambiare la targhetta sul campanello ho dovuto sottostare ai diktat dell'amministratore e farla dello stesso colore e carattere degli altri o, peggio ancora, subire le delazioni di qualche simpatico dirimpettaio per aver parcheggiato la macchina sotto casa pur essendo sprovvisto di permesso e, consequenzialmente, vedere arrivare un vigile taccuino munito ad applicare sulla mia persona, la dura lex sed lex del Codice della Strada. Vabbè, respiro profondo e passiamo oltre, anche perchè questa new way of my life offre degli spunti narrativi a dir poco interessanti. Il personaggio piú baritonale si trova sul pianetottolo ed è anche il padrone di casa. Oltre ad essere l'unico toscano di destra che abbia conosciuto in vita mia è pure logorroico. Ma non cosí, tanto per dire. È un'autentica macchina da guerra sprovvista del tasto mute. Entrare a casa sua equivale a giocarsi un intero pomeriggio durante il quale elencherà ogni singolo successo professionale della propria esistenza, condendo il tutto con tediosissimi aneddoti di carattere personale. Non accontentandosi soltanto di massacrare i miei gioelli di famiglia con monologhi da Dittatore sudamericano, tra la rievocazione di un miracolo e l'altro butta sempre lí, neanche troppo a caso, un invettiva contro il fancazzismo dei giovani d'oggi, contrapponendolo alla frenesia operativa dei suoi tempi. Che l'altra sera dev'essersela un pó presa quando gli ho detto che se mi lasciasse i suoi soldi, che a trenta saprei e potrei spendere, gli cederei di cuore il mio presente professionale in profondo rosso, tanto per fargli provare l'ebbrezza del rischio -concreto- di non arrivare a fine mese.
Tutto ció premesso va poi detto che attorno a questo personaggio ruotano le vicende del palazzo. Da un lato, infatti, ha una questione aperta con la coppia di mezza età del piano di sotto per il dominio sui parcheggi interni, con tanto di ripetuti ed incrociati tentativi, dopo la dipartita della precedente proprietaria, di acquistare l'appartamento del piano ammezzato, per poi giocare il jolly dei millesimi aggiuntivi in sede di assemblea condominiale. Di questa cortina di ferro il sottoscritto non poteva che giovarsi, con lui che mi concede il posto auto abusivo nel giardino condominiale tanto per dare fastidio ai suoi nemici storici. Che a propra volta anno una questione aperta con l'asilo nido al piano terra, reo di ostruire l'uscita dai parcheggi con le processioni di genitori motorizzati che vengono a ritirare, come al Mcdrive, stormi di pargoli urlanti. Esemplificando, stasera la signora, che ha il peso specifico del mercurio, ha iniziato a tediare tre papà che, incolonnati le avrebbero potuto (n.b. Condizionale) ostruire l'uscita. L'ultimo, tra il tredicesimo e il quattordicesimo rimbrotto, ha deciso di prendere il toro (ehm... la signora) per le corna: "Brutta vecchiaccia, ma non riesci a tacere?! Per farti star zitta dobbiamo smetter di far figli per poi essere colonizzati dai musulmani?!" Calava il silenzio, con la signora attonita, il papà paonazzo ed il sottoscritto che abbarbicato in terrazza si chiedeva se l'ultima parte di quella frase, dati i recenti accadimenti internazionali, non ci avrebbe esposto qualche forma di rappresaglia. Silenzio peró destinato a durare ben poco, interrotto dalla gatta del piano di sopra. Maria Paola. Non che abbia mai compreso quale folle meccanismo possa spingere le persone a dare dei nomi da cristiani agli animali domestici (cosí come quindici anni fa alle superiori, non capivo perchè tale Sig. Murru avesse deciso di chiamare sua figlia Marylin), fatto sta che la micia è causa di forti contrasti tra le due coppie rivali e la tizia del piano di sopra. Il perchè è presto detto: la padrona della gatta parte per le vacanze abbandondonando la bestiola al proprio destino. La bestiola riempie di riordini le scale interne del condominio e miagola pedissequamente.
Nota di merito per i personaggi ancor piú spassosi del palazxo d fronte tra cui:
-Manager appena tagliato da tale Mina (che deve essere uno stronzo da competizione) e periodicamente chiama il suo ghigliottinatore per ottenere una secinda chance, salvo finire sempre col minacciarlo in aniera neanche troppo velata"
-Vecchia ultraottantenne che mi fa ciao ciao con la manina e sorride maliziosa (da sempre questa è la fascia d'età in cui il mio fascino dinoccolato riscuote maggiori successi...)
-Potenziale maniaco sessuale con riporto che gira mutandato sul terrazzino a ore 9.15
-Studentessa universitaria che si è quasi buttata dal terzo piano nel tentativo di capire che libro stessi leggendo
-coppia esibizionista con lei che tene le finestre del bagno aperte nelle fasi che precedono la doccia e lui che fa pesi di fronte alla finestra
-inquietante cicciona che occultata dietro alla tapparella del soggiorno osserva tutto e tutti...
Insomma, alla fine un pó impiccione lo sono, ma che ci posso fare se da neanche una settimana, dopo dieci anni di finestra sul giardino interno, mi ritrovo con ben due terrazze che danno su due stade diverse?!
Certe novità, in fondo possono dare alla testa...

domenica 9 settembre 2012

Il malato immaginario

I matrimoni non si celebrano mai di domenica. Chissà poi perchè. Magari per le zitelle che per quel giorno voglio la chiesa libera, per i catecumeni della prima comunione o i cresimandi ante litteram. Fatto stà che supposizioni a parte sono stato invitato al secondo matrimonio in meno di un mese. Roba che neanche Hugh Grant o Vince Vaughn, tanto per citare due più o meno recenti trasposizioni cinematografiche. Il leit motiv corrispondeva grossomodo alla mia ultima partecipazione nuziale, con lui scemo ma non ricco e lei ricca ma non particolarmente avveduta nella scelta. Chiesetta della provincia lombarda, ubicata in uno di quei paeselli dal nome impossibile dimenticato da Dio e dagli uomini. Trattori che sfrecciano davanti alla chiesa, prete mezzo ubriaco alle undici di mattina e duecento invitati malamente assortiti: un discreto esercito di medici per lei, un nutrito elenco di agricoli per lui e tanti tanti parenti.
In questa storia io sono il ragazzo di una delle amiche, quello che prega Dio, Buddha e Allah in occasione del lancio del bouquet e dopo aver simulato un fasullo interesse per gli addobbi si fionda come un aquila sul buffet.
Ricapitolando. Sveglia alle otto, in pedissequa attesa che lei andasse e tornasse dal parrucchiere e loro, intesi come gli amici autoinstallatisi in salotto dalla sera prima liberassero il bagno. Doccia e colazione, con tanto di delizioso frappè preparato dal sottoscritto e mai abbastanza apprezzato dal pubblico in sala. A seguire la prima dolorosa scoperta: i nostri ospiti notturni sarebbero ripartiti subito dopo pranzo, ergo niente passaggio scroccato ed il sottoscritto costretto a fare una delle cose che odia di piú: prender su la macchina nel giorno di festa. Oh cribbio. Vabbè, chiave nel quadro, mettiamo in drive e la Wrangler parte, mentre mi arrivano oscure indicazioni su come arrivare al paesello, che al nostro arrivo ha un che di Silent Hill in salsa lumbard. Una vecchia, dall'aria allegrotta, mi fa cenno di parcheggiare nella sua cascina, azzerando le mie perplessità e la paura di essere rincorso, al ritorno, da un signore attempato con canotta e forcone.
Ci attende una chiesa addobbata a festa, a riprova del fatto che il papá della sposa è il ras del paese e per il fatidico giorno ha deciso di non badare a spese. La palma del peggiore, manco a dirlo se la becca prima dell'inizio il testimone dello sposo, fasciato in un abito color senape che grida ancora vendetta. Della cerimonia vedo ben poco, nel senso che lei mi abbandona su di una sedia di fronte a una colonna e lí mi eclisso, udendo a random qualcuna delle apocalittiche previsioni del prete alticcio. All'uscita, i rigidi criteri organizzativi della giornata mi fanno sobbalzare. Qualcuno si è preoccupato di redigere una mappa per trovare il castello dove si svolgerà il ricevimento, in versione sia grafica che testuale e non pago ha distribuito agli astanti "bombe" di riso e coccarde. Mentre mi riprendo da cotanto choc, abituato come sono all'organizzazione made at home delle nozze sarde, inizio a squagliarmi. Perchè il fresco di lana risulta esser tale nell'ombra di una chiesetta rupestre, ma molto meno confortevole sotto il sole cocente di mezzogiorno, soprattutto se gli sposini non si decidono a uscire. Partiamo, infine, con una gaia coppietta che si offre di guidare il resto della carovana negli intricati venticinque chilometri che ci separano dal rinfresco. Pessimo errore quello di affidarsi a quei due, che a senso dell'orientamento stanno messi come quel professore tedesco di nome Halzheimer. La strada si allunga di parecchi chilometri, coi nostri sprovveduti capicomitiva che costringono il gruppo a circumnavigare la provincia, con aggravio di fame e consumi. Alla fine peró si arriva lo stesso, col sottoscritto che nella foga di occupare un posto vicino all'ingresso rischia di arrotare un paio di bambini, che per inciso se la sarebbero meritata! Il posto merita, anche se non oso pensare quanto sia costato al ricco padre della sposa. Meraviglioso castello medioevale con giardino all'italiana e camerieri in livrea, che ci danno il benvenuto con un menú tanto insolito quanto disarticolato. Il preantipasto si compone di Focacia e Salame di Varzi(che adoro) Feta e Olive (che non disprezzo) Sushi (che tollero) e nouvelle cuisine (ossia pesce crudo con macedonia di frutta e verdura, che odio...). Inutile dire che una volta coinvolti nei miei loschi traffici un ortopedico ed un rianimatore mi piazzo davanti al tavolo degli aperitivi ed inizio a darci sotto, conscio del fatto che quel che seguirà sarà sul noiosetto andante e il giusto grado alcoolico mi consentirà una costruttiva accettazione degli eventi. Pagato il riscatto al fotografo e liberati gli sposi, alle ore 13 e 12 minuti primi del giorno del Signore 8 settembre 2012 ci si dirige (finalmente) verso la sala da pranzo.
Ogni tavolo aveva il titolo di un film. Giuro! Ed il sottoscritto stava seduto al "Malato Immaginario", con tanto di nome stampato in bella vista sulla locandina. Ripresomi dallo choc di una cosí perversa organizzazione, interiorizzato lo smacco di aver visto il tavolo "Amici Miei" ad una pletora di personaggi senza stile, iniziavo a dar corpo alla mia fama da mangiatore da competizione. Adoro il buon cibo ed il buon vino e, a dirla tutta, sono un convinto assertore del motto "meglio campar sazi che morire sani". Che poi data la massiccia presenza di medici in sala, farsi andare qualcosa di traverso non sarebbe stata una grande idea, perchè, litigando su chi e come sarebbe dovuto intervenire sul paziente avrebbero finito col causare il mio prematuro trapasso. Tre antipasti, altrettanti primi, due secondi e tris di dolci, il tutto condito da fiumi di vino e una certa noia. Perchè i medici sono simpatici i primi venti minuti e poi iniziano a parlare di medicina. Senza piú fermarsi. Cosí mentre la mia bella spiegava al suo gaio amico come infilare un catetere ad un vecchio ed il resto della tavolata sparlava di un collega che aveva caricato un certo filmino moolto personale sul web, io scambiavo frasi di circostanza con una tizia di Varese dagli occhi vacui. E mi rompevo solennemente los cojones. Tanto che tra un rosso ed un bianco trovavo delle somiglianze incredibili. Con lo sposo che sembrava il Dott. Chilton de "Il silenzio degli innocenti" mentre il fratello della sposa era pari pari al Trota Bossi. Tra i tavoli si aggirava anche un nano, inquietantemente simile al cattivo di "Austin Powers", probabilmente scappato dal giardino di un pervertito onanista dato che ad ogni passaggio dello sposo alzava il calice e proferiva solo e soltanto la parola Caxxxo. Inutile dire che il pranzo si protraeva fino alle sette e mezza di sera, col sottoscritto che prendeva a spallate una vecchia per accaparrarsi dei confetti, mentre un tristissimo cantante sulla sessantina, ingaggiato dai genitori dello sposo, scimmiottava penosamente Jim Morrison, che in tutta risposta, da qualche parte, si sarà rivoltato nella tomba.
Seguiva, il lancio del bouquet, con buonaparte delle amiche della sposa che schivavano il fatidico mazzo quasi fosse una granata mentre, tale Isabella, che piú realisticamente chiameremo Isabrutta, si esibiva in un triplo carpiato con avvitamento per acchiappare la sua falsa speranza quotidiana.
La storia del giorno finisce quí senza ulterori sussulti. Evviva gli sposi!

giovedì 30 agosto 2012

Esse come sfiga

Se oggi mi cascasse addosso la morte credo faremo scopa o qualcosa di simile. Che il mio carma volesse lanciarmi qualche messaggio non propriamente amichevole l'avevo intuito l'altro ieri, quando dopo aver afferrato per un braccio e lanciato letteralmente verso il giardino un tossicodipendente che non voleva abbandonare la sala d'attesa dello Studio, ho iniziato a sentire una vocina interiore che prospettava sottili ed inattese vendette.
Lui (il tossico) urlava che era una meraviglia, frasi del tipo "Mi stai trattando come un delinquente?!" ed io, con voce alterata ribadivo un concetto che avevo ben chiaro in testa "No, come un rompicoglioni!". Ma questa è un altra storia. Anche se per inciso avevo le migliori ragioni per prendermela con uno che prima si spaccia per cliente dello Studio e poi cerca di vendere dei gatti su cartoncino.
Solo che dopo mi è rimasto il rimorso, in fondo non mi piace esagerare e sotto sotto sapevo di averlo fatto.
Cosí il Karma o chi per lui ha deciso di ricompensarmi con una giornata da dimenticare, di quelle che ti svegli la mattina e scorgendo i nuvoloni al di là della finestra capisci che probabilmente faresti meglio a restare a letto, tanto per limitare i danni.
Cosa che puntualmente non fai e poi...
E poi ti ritrovi a mezzogiorno in ufficio a ricontrollare per caso un importantissimo avviso, di quelli che avevi letto e riletto trenta volte tranne...l'ultima riga! La maledetta rivelatrice di un concetto drammaticamente chiaro: "Hai fatto una cazzata di dimensioni titaniche!"
Suonato questo primo campanello d'allarme attraversi una sorta di dualismo consequenziale
rappresentabile attraverso le seguenti espressioni "No, stiamo calmi, deve esserci un errore..." e "Ahhhhhhhhhhhhhhhhh! Sono ufficialmente fottuto!!!!"
Seguono dei momenti di genuino panico, durante i quali si approntano soluzioni d'emergenza atte solo a peggiorare una situazione già di per sè disperata.
Come la mia brillantissima idea di coinvolgere in tutto questo la collega in codelega, la quale intuendo la portata della nostra super cappellata inscenava una fantastica crisi di panico a mezzo fax.
In attesa che la mia exit strategy da kamikaze desse i suoi frutti sono tornato a casa dove, in vista del mio imminente trasloco avevo appuntamento col proprietario dell'appartamento.
Personaggio viscido giá professionalmente, in quanto geometra, con mani sudaticce e profumo che sa di cortesia. In fondo bisogna sempre diffidare da chi porta i pantaloni con le tasche laterali e si fa un profilo su Badoo in cerca di donne piu giovani di lui ( ebbene si, ho controllato!). Fatto sta che questo simpatico individuo inizia a girare per casa e fotografare, pretendendo la mia partenza immediata per favorire l'ingresso del nuovo inquilino ed il contemporaneo pagamento del mese di settembre (cosí da poter fregare due scemi in un sol colpo). Ma 530 euri son sempre cinquecentotrenta euri e la mia reazione ha rischiato di essere ancor piú violenta di quella avuta col tossico di cui sopra.
Non fosse che la necessità di recuperare le caparre mi ha ricondotto a scelte meno reazionarie del previsto. Quindi a lui l'affitto di una casa che non potrà riaffittare anzi tempo e a me le chiavi di un appartamento che resterà vuoto per un mese.
Mettendo il film in pausa si potrebbe a questo punto convenire sul fatto che il protagonista della storia abbia patito per oggi un numero sufficiente di sfighe, ma cosí non è.
Perchè se la mia pizzeria d'asporto preferita stasera era chiusa, la seconda in ordine di gradimento aveva alzato i prezzi e ridotto la dimensione del prodotto finale.
Cosí affamato e teso come una corda di violino saluto e vado a nanna, per nulla speranzoso sui positivi esiti del mio tour bolognese di domani.
Nessuno mi leverà dalla testa che quel tossico fosse un potente stregone zingaro e che abbia in qualche modo punito la mia intransigenza.
Adios.

lunedì 27 agosto 2012

Sembra ieri

Me l'avessero detto un anno fa di tutti questi stravolgimenti, credo avrei preso a calci il mio interlocutore e proncunciato qualche frase solenne sulla follia della gente. Ma questo 2012 che per me di normale ha proprio poco, ha deciso di scrivere sulla lavagna dei ricordi la parola rivoluzione a caratteri cubitali, utilizzando i toni piú accesi del rosso.
Verosimilmente dalla settimana prossima si cambia tutto. Casa, città e lavoro, non senza rimpianti, ma con la consapevolezza che non si sarebbe potuto fare diversamente, tenuto conto delle circostanze. Pertanto, quelli che mi lascio alle spalle sono gli ultimi giorni passati a stretto contatto con le persone che per dieci anni hanno rappresentato la mia famiglia putativa lontano da casa. È impressionante come un arco di tempo cosí lungo possa scorrere tanto velocemente, lasciando dietro di se affetti, ricordi ed esperienze, ma anche un grande senso di vuoto. Quello che ho provato sabato mattina, stipando a bordo di due auto di medie dimensioni quanto accumulato dal 2001 ad oggi. Ogni abito cosí come ogni oggetto era legato ad un periodo, figlio di una qualche situazione intrisa, a propria volta, di quel senso della vita che per me resterà sempre un grosso punto interrogativo. C'era il bambolotto gonfiabile con cui mi hanno costretto a girare il giorno della laurea, la cravatta
porta fortuna per le udienze importanti, quel regalo trash di Cristiana, una testa divina con sotto inciso Zeus a cui lei, con arguzia, aveva aggiunto a pennarello "la capa di..."
Cose che in fondo manco sapevo di avere, evocative di sceneggiature in cui io, protagonista assoluto, incontro una Guest Star del periodo X della mia vita, faccio evolvere il nostro rapporto e poi da spettatore annoiato osservo i titoli di coda, in barba ai sentimenti ed ai buoni propositi.
Cose scritte, rigorosamente a mano ed in bella copia. Lettere di qualcuno che non c'è piú, come le istruzioni di mio nonno vergate su di un vecchio calendario, un quaderno con un "ti voglio bene" griffato mamma ed appoggiato sulla scrivania mentre dormivo, in una primissima mattina di febbraio. Lettere della persona che a distanza di quattro anni riempie ancora troppi momenti di vuoto nella mia schematica esistenza.
Il verbale della prima causa vinta, un articolo di giornale col mio nome ed un coltello della seconda guerra mondiale comprato in un mercatino delle pulci e abbandonato in un cassetto, in attesa magari di un terzo conflitto.
Cosa proveró tra meno di una settimana nel chiudermi la porta dietro le spalle sapendo che non torneró piú quí? Difficile dirlo. Perchè è già straziante convivere con l'aria da afflizione generale che regna tra le persone che conosco e non comprendono la mia decisione di cambiare aria. Dal mio capo, che perde il suo golden boy low cost ad F., che se non si è messo a piangere poco ci manca. I rapporti umani, in fondo, sono delle formule piú o meno bilanciate di egoismo, in cui a turno figuriamo come sfruttatori o sfruttati. Per questo nel dirigermi verso una rotta non meglio evidenziata provo un piacevole sollievo, dato dal fatto che dopo dieci anni molte cose si rompono ed aggiustarle non ha piú senso. La riflessione finale è che tutto comincia come non te lo aspetti, si evolve come non immagini e finisce spesso come non vorresti.
Me ne vado in silenzio senza salutare. Odio gli addii, quantomeno perchè dovrebbero essere circoscritti all'ambito tanatologico o essere ribattezzati come "arrivederci con facoltà di recesso". Ma cosí non è purtroppo. A raccontarla fino in fondo poi mi è mancato nel corso degli ultimi mesi quel sostegno di cui avevo assoluto bisogno. Ma è piú una motivazione contestuale che un capo d'imputazione specifico. Che poi si sia trattato di assoluzione con formula piena o dubitativa è tutt'altra storia. Non di condanna comunque.

"Still a little bit of your taste in my mouth
Still a little bit of you laced with my doubt
Still a little hard to say what's going on"






domenica 19 agosto 2012

Scusami

Il sonno tarda ad arrivare stanotte cosí ho deciso di disturbarti un pó. La decisione di non scriverti è presto naufragata assieme a tutti gli altri buoni propositi della settimana, inclusi lo Studio e il trasloco. Credo che il mio rapporto con papá si stia guastando definitivamente, ammesso che si possa definire tale una relazione sociale basata sul condividere casa e televisione. Tu eri la nostra camera di compensazione, l'argine che conteneva le nostre diversità e adesso che sei andata via, il fiume o chi per lui è in piena. Non dico di non volergli bene, ma non lo stimo. Non è un mistero d'altra parte, anche se so che storcerai il naso. L'ho sempre giudicato inadatto al mio contesto, sopra le righe e fastidiosamente supponente. Un uomo senza qualità che ha sempre avuto come unico scopo quello di demolire gli altri, almeno negli ultimi anni. Hai sempre giustificato queste sue pecche attribuendole alla malattia e alla gente,  ma non hai fatto altro che aggravare il problema. Perchè lui è intimamente cattivo. Provoca e dice cattiverie a profusione, salvo poi piagnucolare nel momento in cui ha bisogno di qualcuno che in tua assenza risolva i suoi problemi. E quel qualcuno sono io. Ma passata l'emergenza riemerge il suo odioso comportamento e cerca di fare col sottoscritto quel che faceva con te, avvelenandoti a piccole dosi giorno per giorno. Ma fortunatamente, non condividiamo lo stesso punto di vista. Fossimo stati nella stessa stanza credo che stasera, dopo l'exploit telefonico gli avrei messo le mani addosso, in primis per quello che ha detto ed in secundis per aver provato a farmi fare la figura dello stupido. È una cosa che non ho mai permesso a nessuno, tantomeno a chi, come lui, reputo di gran lunga inferiore a me. So che sto dicendo una marea di cattiverie, ma davvero non riesco a fermarmi. Due mesi a domani mi sei spirata davanti e lui va a dire in giro che sta soffrendo piú di me. Ma che diavolo ne sa di quel che provo? Non c'era lui a vegliarti in ospedale e non c'era nemmeno quando nell'infanzia e nell'adolescenza ho avuto bisogno d'aiuto. Eravamo tu e io. Non lui, quello strano essere che guardava la tv e criticava. Per te era un buon marito, per me una persona che non sono mai riusicito a capire. Odio il su piangersi addosso e il ricercare continuamente la compassione della gente. Odio tutta la sua famiglia, che ti ha trattato come sappiamo e la sua fretta di giungere a una folle riconciliazione a cosí breve distanza dalla tua morte. Se esistesse un inferno penso finirebbero tutti lí, in compagnia di quella strega di sua madre.
Odio, infine, l'averti promesso, poco prima che ti operassero, che se ti fosse successo qualcosa mi sarei preso cura di lui. Un bel bagno nella merda laverebbe via un pó della sua supponenza, del suo sentirsi uomo di mondo senza aver mai varcato la soglia di casa, ma la tua faccia sofferente mi costringerà a lanciargli seppur in ritardo un salvagente rosso, aggrappatosi al quale riprenderà con la sua spocchiosità da minimo sindacale.
Scusa lo sfogo mamma, ma stasera l'ho odiato profondamente, perchè nelle sue parole ho visto tutti gli anni che ti ha rubato. Magari come dice nonna il suo è un modo come un'altro di reagire alla tua mancanza, che per me risulta comunque inammissibile.
Perchè se sei uomo a sessant'anni ti prendi le tue reposnsabilità e non ti rifugi dietro a tuo figlio salvo poi insultarlo al primo giro utile. Scusa per lo sfogo e l'eccessiva franchezza, ma avevo bisogno di mettere nero su bianco questa tempesta, affinchè tu potessi leggerla. Non so quanto potró resistere prima di chiuderlo fuori dalla mia vita.

Ferragosto e dintorni

Al pari del capodanno e del ponte dell'Immacolata quella di cui sopra è una delle ricorrenze più invise al sottoscritto, principalmente per quel diktat socio-culturale che impone di vivere quel giorno come se avesse qualcosa di diverso da tutti gli altri.
Ogni gruppo che si rispetti ha il suo Filini, inteso come tragico organizzatore di eventi sociali ai quali, nemmeno il piú determinato dei membri puó sottrarsi. M. è il nostro. Diciamo pure che da quando è fidanzato con una costosissima fanciulla dell'est le cose sono sensibilmente migliorate, nel senso che lei assorbe gran parte delle sue energie e dei suoi guadagni, salvandoci da alcune balzane trovate. Purtroppo, non da tutte. Capita cosí che in una qualsiasi serata pre ferragostana io possa essere improvvisamente edotto da F. (che poi è il suo braccio armato) che M. Per quel giorno ci invita tutti al mare da lui, in una sperduta località ligure. Invitare poi è una parola grossa, nel senso che dall'avvento della sua consorte in poi ci è stato tacitamente interdetto l'accesso e/o pernottamento nella magione di famiglia, ragion per cui arrivando sul posto ci si deve sentire già fortunati nel vedersi mettere a disposizione per trenta secondi la cabina dello stabilimento balneare, dove cambiarsi in tempo record e riporre alla peggio i propri effetti personali. Sottintendendo che in caso contrario si dovrà provvedere con mezzi propri, rischiando una sacrosanta denuncia per atti osceni sulla pubblica via (reato, peraltro procedibile d'ufficio...).
Sottrarsi non è mai facile, nel senso che F. conta sempre su di me per dividere i costi kilometrici dei trecento chilometri complessivi che separano la città dal mare e per far ció dalle sei antelucane si piazza sotto casa mia ed inizia a maltrattare il mio incolpevole citofono. Il viaggio per me è sempre un'incognita, nel senso che sono ancora nel primo sonno e spesso faccio cose assolutamente prive di senso compiuto. Come l'acquisto di strani gadget in autogrill o RedBull ed m&m's a colazione... Poi, ad un bel momento, verso la fine della Cisa mi sveglio e realizzo. Il trauma sè accresciuto dal fatto che il viaggio, cosí come l'ingresso in paese è un crescendo do curve che metterebbero a dura prova anche il piú duro degli stomaci. Si comincia con delle sinuose chicane e si chiude il lotto con un insidiosissimo cavatappo. In Liguria, una delle cose piú difficili al mondo è la ricerca del parcheggio, stante una presenza umana ben superiore rispetto all'effettiva capienza del posto. Ad alzare il coefficiente di difficoltà, poi, una nutrita schiera di vigili ed ausiliari del traffico, pronti a disoccultarsi e verbalizzare non appena il poveretto abbia appunto trovato il sospirato parcheggio. Dio benedica i GdP, ripeto tra me, che essendo pagati a provvedimento hanno tutti i migliori interessi ad accogliere i ricorsi ed annullare le multe.
La spiaggia ê un qualcosa che per me non sta né in cielo né in terra: lottizzata e privatizzata per tre quarti, con un orrendo accrocchio di cabine e sporting club all'ingresso, quasi che il mare, in questo effimero ensemble di offerte a pagamento sia il parente povero della piscina e del campo da tennis.
Tutto stride,palesemente, con l'idea di libertà che una spiaggia degna di tal nome dovrebbe suscitare in chi la visita.
Gli ombrelloni sono tutti dello stesso colore, divisi da cinque file di tappeti di tela, giusto per impedire ai piedi il contatto con la sabbia (sob!). Pertanto, se come il sottoscritto hai un senso dell'orientamento prossimo al nulla, avrai l'imperdibile possibilità di girare come uno scemo per tutta la mattina, prima di ritrovare la tua roba. Inutile dire che lo spazio vitale è ridotto all'osso, in quanto, causa l'estrema esclusività dello stabilimento di M. i posti vengono assegnati per diritto divino/ereditario, ragion per cui ci ritroviamo immancabilmente ammassati in dodici nello spazio che andrebbe bene per una coppia di neonati.
L'acqua, almeno per i miei standard è sull'oleoso andante e quando ne esco fuori, dopo il bagno, piú che un turista mi sento un benzinaio, dato l'odore di Shell VPower che la pelle si porta addosso.
A volte, proviamo anche ad abbozzare una partita a beach volley, ma il fondo decisamente sassoso, dopo un pó, ci induce a piú miti consigli.
A mezzogiorno, immancabile, scatta il pranzo in focacceria, dove come da copione, mi abbuffo come un suino.
Il momento di estasi alimentare viene spesso turbato da quel personaggio che praticamente tutti, dall'inizio del viaggio, avevamo cercato di ignorare: N/e. Fidanzata rompipalle di D. lei è da sempre la spina nel fianco del gruppo. Magra, nasuta e fumante. Con le sue fattezze da strega nocciola e il suo risultare odiosa anche quando cerca di fare la simpatica è quanto di peggio ci si possa augurare in una giornata ferragostana.
Quasi sempre, tutto comincia con un discorso sul piú e sul meno, tipo il fatto che il fumo e le droghe fanno male. Da lí parte una disquisizione medico-legale coi tre medici e i due avvocati del gruppo che iniziano a disquisire delle conseguenze fisico sanzionatorie per i singoli utilizzatori o a raccontare tremende storielle su pazienti e clienti. Quando pare che la giornata stia prendendo una piega leggera e soave ecco intervenire, a sproposito, la rompipalle. Con qualche storia assurda del tipo "Il fumo non fa male, gli indiani d'america masticavano tabacco e fumavano foglie di coca", tanto per giustificare i suoi due pacchetti di Marbloro al giorno. F. che sentitamente ricambiato la odia, le fa garbatamente notare che il suo esempio è provo di logica, dato che i nativi americani morivano a trent'anni per un raffreddore e i danni del fumo o della coca si intuiscono solo molto tempo dopo.
Da lí parte una rissa verbale, in cui lei alza il tiro delle proprie cazzate e noialtri, nenache tanto bonariamente la sfottiamo. Alla fine tace, per poi covare quel sordo rancore che ci esploderà in faccia all'ora di cena, mandandoci di traverso un piatto di linguine allo scoglio. Il suo amato, sentendosi preso tra due fuochi, proverà a difendera, magari rinvangando con F. o M. qualche antico dissapore delle elementari. Al che, il sottoscritto, che quatto quatto lemme era magari già arrivato al secondo, dovrà interrompere il suo mistico rapporto con la frittura di calamari per evitare che F. e D. passino alle vie di fatto. Col primo che mincaccerà il secondo di lasciare appiedati in liguria i due innamorati.
Il ritorno, manco a dirlo è una riproposizione della guerra fredda sulla macchina di F. con me e lui davanti e la coppietta sul sedile di dietro. In mezzo, due ore abbondanti di tesissimi silenzi intervallati dai miei svizzeri tentativi di svelenire il clima con delle pessime battute notturne.
Bilancio: sonno arretrato, umore pessimo e un sacco di soldi spesi per una giornata del menga.
Morale: viaggiare è sfiancante, costoso e spesso poco igienico. Gesù non è mai andato in vacanza, a meno di non contare quella capatina a Gerusalemme. E sappiamo tutti com’è andata a finire.

lunedì 13 agosto 2012

Mio zio, l'assemblea condominiale & io.

L'avessi presentato al mio capo il suo commento sarebbe stato "Suo zio ha un grande senso della famiglia!" Come dargli torto, se d'altro canto, nel giro di trent'anni è riuscito a farne e disfarne tre, in maniera del tutto logica e consequenziale.
Sessant'anni malamente dissimulati, fisico asciutto e baffo malandrino, questo l'identikit del principale diffusore del patrimonio genetico familiare nel mondo.
Fosse solo un provolone come tanti nulla da dire, ma lui, al pari di un virus deve necessariamente congiungersi con l'organismo ospite per poi, proficuamente, riprodursi.
Cosí, negli anni, ho imparato che l'estate avrebbe portato con sé nuovi ed inattesi cugini, capaci di materializzarsi tra la cucina ed il soggiorno di casa nel corso del mese di agosto.
La scena era sempre la stessa: prima faceva le corna alla moglie di turno che lo metteva alla porta, poi arrivava in Sardegna con pargoli al seguito e quí, stanti le fattezze streghesche di mia nonna paterna e delle altre zie riparava a casa nostra, sinonimo di famiglia con la F maiuscola.
Non che da un anno all' altro poi ricordassi i nomi dei vari cugini, già che nella mia visione monocorde del mondo facevo molta fatica ad accettare la dipartita della precedente zia, che magari si era già comprata il mio affetto con qualche inatteso regalo.
Per farla breve il mio caro zio si è palesato innanzi a me anche in questo torrido mese di agosto, con tanto di neo cuginetti leghisti. Ebbene sí, due pargoli padani cresciuti a pane (pardon, polenta) e Borghezio, di quelli che già dalla tenera età girano col cappuccio puntuto dei KKK e guardano con malcelato disprezzo qualsiasi cosa provenga da sotto al Po.
Insomma, le mie ultime giornate feriali sono state per cosí dire rallegrate da questo insolito ensemble, con tanto di accesi dibattiti elettorali tra mio padre ed il mio cugino comu e le due piccole camicie verdi. Posto che mio padre ha l'etá mentale e cognitiva di un bambino di sei anni caduto dal seggiolone, di tanto in tanto mi veniva voglia di abbandonare le mie occupazioni, dare un paio di ceffoni a casaccio e mettere l'intera truppa in punizione, magari in ginocchio sui ceci, di rigorosa produzione locale.
Purtroppo peró mio zio era lí ad ingabbiarmi con quelle che io chiamo balle da delirio competitivo. Poveretto, considerata che l'etá media delle donne del paesello sfora abbondantemente gli ottanta c'era anche da capirlo. Quindi, abbandonata ogni velleità di conquista verso nonna Immacolata e zia Addolorata, cercava di convincermi di cose che non stanno ne in cielo ne in terra. Quí di seguito un piccolo estratto delle sue affermazioni ai limiti della fantascienza (e oltre...):
"A quattro anni ho guidato un camion"
"Corro nel campionato italiano rally" (si producono a suffragio di detta ipotesi foto sfuocate)"
"Sono stato in testa per ben due tappe della summenzionata corsa"
"L'assenza di sponsor mi ha privato della meritata vittoria finale"
"Ho fatto la Milano Varese in 22 minuti netti" (una volta forse anche in bici)
"Candolini, quello della grappa prima di esportarla in America mi chiede di assaggiarla"
"Nel mio orto crescevano angurie da 27 kg"
"Da piccolo avevo un cane quasi parlante"
Chi legge capirà come per il sottoscritto alla settima od ottava bordata di questo tipo sia praticamente impossibile non reagire, quantomeno per evitare che la casa crolli sotto il peso di tali stronzate titaniche.
C'è da dire poi, che in tal senso vedono e provvedono i suoi stessi figlioletti, che dall'alto della loro fase preadolescenziale lo ammoniscono rassegnati con un "Dai papà piantala!"
In questo mare magnum di controsensi, poi, vuoi mica perderti l'assemblea di condominio della casa al mare?! Opportuna come il mal di denti al Venerdí sera giunge immancabile ogni estate a funestare i miei ultimi giorni di vacanza.
Ricorda neanche tanto vagamente le assemblee di fantozziana memoria, dove dopo un paio di cordialissime strette di mano i partecipanti cominciavano a a darsele di santa ragione.
Il tutto comincia sempre con nove nuclei familiari che si ritrovano nel giardino condominiale per deliberare su un bilancio perennemente in rosso redatto da un amministratore maldestramente disonesto.
"Venga Avvocato, si sieda vicino a me" mi intima con ghigno ferino la vecchia dell'ultimo piano, aggiungendo poi un "oggi conto su di lei per cantargliene quattro!" A me, naturalmente non ne puó fregar di meno, avendo come unico obiettivo quello di pagare e tornarmene a casa nel minor tempo possibile.
Cosí non è, dato che avendo un amministratore genovese che in gioventú impagliava bestie morte, i vari condomini non si fidano e pretendono la rendicontazione dei singoli centesimi.
Lui, che puzza come un caprone e ha l'occhio destro che manda al diavolo il sinistro, prima svolge nei miei confronti una sperticata captatio benevolentiae e poi, vedendosi ignorato tira fuori dei fogli excel disperaamente imbastiti la sera prima al grido di "carta canta!" cercando, invano, di spiegare come le riparazioni effettuate in casa sua siano magicamente finite sul conto comune o del perchè quattro lampade alogene costino quanto i gioielli della corona inglese.
La vecchia di prima, spalleggiata dalla figlia matta della sua dirimpettaia, inizia allora a chiedergli di produrre le fatture per le riparazioni imputate tra le spese generali, ottenendo in tutta risposta una serie di incomprensibili grugniti che, immancabilmente terminano in una risposta infantile e geniale al tempo stesso "Ma perchè non siete venuti a chiedermele prima queste cose?!" Anche se non lo ammetteró mai, sono intimamente convinto del fatto che una simile risposta lok renda un essere superiore a tutti noi.
I toni, conseguentemente alle reticenze del nostro infido amministratore iniziano a salire, con la vecchia che sopraffatta dalla depressione inizia a piangere e la matta che terminato l'effetto Tavor inizia a insultare l'impagliatore genovese con epiteti irripetibili.
A questo punto della storia, ogni narrazione degna di nota dovrebbe produrre un deus ex machina che sbrighi la matassa, cosa che peraltro accade con una certa regolarità. Sulla divinità di tale soggetto avrei le mie riserve, ma di macchine, da quando lo conosco ne ha cmabiate parecchie. Di nome fa Bachisio ed è un odontotecnico. Se ne da un sacco, quasi fosse il dentista delle star di Hollywood e non al contrario il riparadentiere delle casalinghe di Pinerolo. Lui è l'antimatta, nel senso che in un imbarazzante sardo-piemontese inizia a urlare piú forte di lei e a gesticolare con estrema eloquenza. A spalleggiarlo, alla bisogna, il suo migliore amico, che fa l'agente funebre (...grattatina ai gioielli di famiglia...) ed ha una somiglianza impressionante con il cinghiale del digestivo Brioschi. La matta quasi sempre perde e lí per me sono uccelli per diabetici. Nel senso che inizia l'interrogazione di diritto privato su una non meglio precisata causa da intentare contro il costruttore, che ha fatto progettare gli scarichi da Topo Gigio. Roba che alla mia dirimpettaia escono gli spaghetti dalla doccia e a me... lasciamo perdere! In ogni caso vengo tartassato di domande su problemi che spesso non sono minimamente afferenti al caso in esame, tipo la bis-cugina laterale che vuole separarsi consensualmente o quello che vorrebbe trasferire il domicilio fiscale in Svizzera. Alle brutte, con estrema calma, spiego agli astanti che difficilmente potrei patrocinarla io quella causa, che sarebbe meglio cercare uni del posto, che i costi medi per un atto di citazione relativo a cause di valore superiore al milione di euro è di almeno 8-10 mila euro, comprensivi di diritti ed onorari, senza poi contare che tra l'avvio del procedimento e la sentenza di primo grado potrebbe passare un tempo indefinitamente ricompreso tra i sei ed i dodici anni. Questo tendenzialmente li fa tacere o quantomeno mi fa guadagnare il tempo necessario per rifurgiarmi in casa, al riparo da questa folla inferocita.
Alla fine si paga. Ognuno alla sua maniera. Nel senso che l'odontotecnico ed il beccamorto fanno i crapuloni, lasciandoci sempre cinquanta euro in piú del dovuto e costringendo anche me a malincuore, ad estrare dal portafoglio la solenne banconota cartacea, che da lí a poco l'amministratore mi strapperà non senza difficoltà dalla mano destra. poi c'è tale Anne, una francese panciuta e fiera sposata con uno che ha 57 anni piú di lei e non si decide a morire. Lei è indietro dal 95 coi pagamenti e francamente sono convnto del fatto che regolarizzare la sua posizione debitoria equivalga a ristrutturare il debito della grecia.
Forse ci sarebbe anche qualcosa da raccontare anche suo sottoscritto, che in questo iter narrativo compare solo come miglior attore non protagonista.
Ma cosa ci posso fare se stasera non mi va di stare al centro della scena?!

venerdì 10 agosto 2012

Mareggiare

Il colore dell'acqua ha cambiato decisamente prospettiva a queste latitudini. Finalmente i piedi sono distinguibili anche a parecchi metri dalla riva e quel che resta addosso dopo un bagno ha molto di salino ed assolutamente nulla di untuoso. Pure i ritmi sono lenti e dinoccolati, come lo puó essere un brano di fado portoghese rispetto a un pezzo di musica house. Le persone sono quelle di sempre, che ti abbracciano e ti dicono che a loro lei manca quasi quanto a te e che certe assenze hanno bisogno di troppo tempo per essere metabolizzate nell'arco di una vita soltanto. Mi alzo presto la mattina, giusto per percorrere al rallenty i duecento metri che separano casa mia dal porticciolo ed ossevare il fiume ed il mare che si congiungono, nell'attesa che un pescatore di nome Ugo giunga con le prelibatezze che la sera prima, qualcun altro ha ordinato per me.
L'odore della macchia mediterranea si mischia meravigliosamente alla salsedine, mentre stiracchiandomi sulla terrazza inizio a concertare su quale spiaggia sia meglio frequentare oggi. Difficile mettere d'accordo quattro persone. C'è l'asociale che vorrebbe una caletta irraggiungibile tutta per se, il pigro bramoso di arrostire nell'affollata spiaggia davanti a casa mia, il glamour che ti butta lí il posto X in Costa Smeralda, dove un caffè costa come un rene e a conti fatti viste le facce non ci farebbero nemmeno avvicinare ed infine io, che onestamente non so mai che pesci prendere in questi casi... Il bello del sud rispetto alle latitudini continentali è che ti godi decisamente il viaggio, perchè per lunghi tratti si perdono le tracce di qualsiasi insediamento umano ed il paesaggio non si riduce ad un piatto susseguirsi di capannoni industriali.
Perció ti metti in macchina e vai, con idee alquanto vaghe su una destinazione che deciderai cammin facendo.
E cosí è stato pure oggi. Con l'idea iniziale di dirigersi verso Sud-Est, una successiva topica clamorosa su di un bivio (al grido di: tranquilli ragazzi, questa strada la conosco come le mie tasche!) e la final solution di far rotta in direzione ostinata e contraria.
Alla fine siamo arrivati a Managu, che è una di quelle calette che si raggiungono facilmente via mare e difficilmente via terra, con l'obbligo per chiunque abbia una macchina normale ad abbandonarla all'ingresso e rassegnarsi ad un lungo e sassosopellegrinaggio in direzione mare. Acqua splendida, gente zero e paesaggio praticamente sospeso in una dimensione spazio temporale sconosciuta ai piú: veramente superbo, insomma. Col plus, tutto personale, di aver potuto inserire le marce ridotte per arrivare a destinazione, mentre gli altri arrancavano.
Ho poggiato il telo, tolto infradito e maglietta e mi sono tuffato, facendo il morto con la faccia in giú per almeno quaranta secondi. Non che volessi essere soccorso o, peggio, covassi qualche aspirazione suicida, ma trovo particolarmente rigenerativo trattenere il fiato sufficientemente a lungo da godere ogni singolo respiro che seguirà al rilascio dell'aria. Volevo anche fare qualche immersione, con tanto di pinne, maschera e fucile da sub, ma trenta sono pur sempre trenta, cosí dopo un paiodi bracciate ho preferito dedicare i miei sforzi al completamento di un cruciverba crittografato. Al ritorno la contesa si è spostata sul dove andare a mangiare e lí, spinto dalla bramosia del mio pancino sono improvvisamente diventato decisionista. Cosí, con fare dittatoriale ho imposto il ristorante sulla spiaggia che da quasi trent'anni ha un rapporto del tutto particolare con la mia famiglia. Perchè tutte le grandi occasioni vacanziere erano suggellate da un passaggio in quel posto, che sapeva buono già dall'insegna, raffigurante una vela maestra opportunamente stilizzata.
Imperdibili gli spaghetti all'astice, il gattuccio cucinato con una ricetta tipica del posto ed il guazzetto di pescatrice. Lo chef ha il vezzo di presentare i piatti come fossero delle composizioni artistiche, che quasi quasi ti viene da tirar fuori il cellulare e scattare una foto prima di cominciare l'assalto. Il proprietario è una persona deliziosa, di quelle che ogni tre per due vengono a chiederti sorridenti come procede la cena. Tra una portata e l'altra inserisce sempre qualche degustazione omaggio ed a fine pasto non lesina mai un robusto sconto.
Ma è questo paesello di poche centinaia di anime a dare il via ogni anno al mio personalissimo viaggio tra la malinconia ed i ricordi. Perchè quí, da sempre, tutto è immancabilmente uguale a se stesso, quasi da farti pensare che da un momento all'altro chi se ne è andato dalla tua vita sia in procinto di ritornare.
Sarà per questo che stasera, dopo una bella passeggiata sulla spiaggia mi sono fermato a guardare il tramonto, con addosso la strana sensazione che tu fossi lí con me.



martedì 31 luglio 2012

Pensierini post vacanzieri, atto primo.


1. Non sperare di trovare posto su un treno diretto prenotando il giorno stesso della partenza.
2. L'unico regionale disponibile avrà l'aria condizionata rotta, in particolar modo nelle carrozze di prima classe.
3. Nel caso decidessi di provvedere allo spostamento con "mezzi propri" rimpiangerai amaramente la decisione assunta qualche anno prima di acquistare un fuoristrada vintage al posto di una comoda berlina.
4. Duecento destrieri sotto al sedere, un'aerodinamica da scatolone dell'Ikea, tre tonnellate abbondanti e quattro gomme tassellate ti renderanno il golden boy del benzinaio.
5. Tua suocera deciderà di prendere il controllo della tua vita non appena avrai varcato la soglia di casa.
6. Riuscirà nel predetto intento al secondo tentativo, aggirando le tue impenetrabii difese con un piatto di tagliatelle allo scoglio.
6. Scoprirai perchè tuo suocero si fa vivo solo alle ore dei pasti dopo aver conosciuto in un'unica soluzione tutte tre le sorelle della sua dolce metà.
7. La dicitura "Albergo Bio" è una scorrettissima trovata commerciale per farti sembrare sostenibile una pensione mal arrangiata.
8. Al momento della colazione le procaci ragazze della stanza di sotto avranno diritto a tre cornetti alla nutella appena sfornati cadauna. Tu potrai aspirare ad una sfogliatina vuota del giorno prima e, a Dio piacendo, un calcio nelle palle da parte del barista.
9. Tuo padre tenderà a telefornare dopo i pasti per ammorbarti con i suoi problemi.
10. Sacrificherai preziose ore di sonno mattutino per andare a trovare in spiaggia una cara amica della tua lei ed il suo simpatico frugoletto.
11. Tratterrai i tuoi istinti ritorsivi nei confronti del treenne che, tra gli sguardi compiaciuti dei presenti deciderà di utilizzarti come grosso pupazzo personale.
12. I tuoi beceri commenti sulla cugina transoceanica e la sua amica platinata saranno colti in una tavolata affollata e chiassosa dalla nonna della tua lei che, per inciso, credevi sorda.
13. A proposito: grazie Amplifon!
14. Andando a far serata in uno sperduto paesello incontrerai esattamente le due persone per merito delle quali ti eri allontanato dalla città.
15. Se sei cresciuto in Sardegna il contatto diretto col mare Adriatico potrebbe traumatizzarti, soprattutto nel momento in cui non scorgi piú la sagoma dei piedi in dieci miseri cm d'acqua.
16. I ristoranti di montagna non hanno bancomat o se ce l'hanno non funziona.
17. Nell'ipotesi di cui sopra avrai contanti limitati, un ricco e prelibato menú, fame da competizione e l'enigma da grande fratello sulla portata da mandare in nomination.
18. Il cameriere a cui stai simpatico non avrà ovviamente alcun potere decisionale Su quanto esce dalla cucina.
19. Comprerai a carissimo prezzo un paio d'infradito teutoniche che faranno a fette il tuo poveroitalico piede.
20. Dirai sempre il contrario di quello che pensi, riscuotendo nella migliore delle ipotesi dei tiepidi consensi.

lunedì 23 luglio 2012

Chiamiamole soddisfazioni

Prima o poi tornano tutte, le donne, raccontava sornione tale Andrea, un personaggio assurdo in puro stile "Milano da bere" che si aggirava tra i corridoi della facoltá qualche anno or sono. Solo che non specificava come o sotto quale forma, queste ex o presunte tali, finite per qualche motivo nel dimenticatoio, facciano il loro ritorno sulla scena.
A 23 anni avevo un amico di nome David, che si comportava da predatore sessuale con qualsiasi tipa dotata di funzionalità respiratorie primarie, un'amica di nome Diletta, gnocca e matta come un cavallo ed un seminario di medicina legale da portare a termine in vista dell'esame. Ahimè, tale incombenza, consisteva in un'autopsia. Il fatto che poi fossi andato a vantarmi di questa cosa con David, il quale aveva deciso di presentarsi la mattina seguente all'istituto di medicina legale assieme ad una biondina slavata che tampinava quel periodo, pur senza essere iscritto al corso, è un evento del tutto trascurabile. Quantomeno perchè effettivamente quella giornata prenatalizia, ognuno dei partecipanti al corso aveva deciso di portarsi dietro qualcuno per assistere all'autopsia, in una sorta di delirio tanatologico generalizzato. I piú fortunati si erano presentati con la morosa, i meno saggi con colei che speravano lo sarebbe diventato e gli indecisi avevano girato l'invito ad amici/coinquilini.
Io, che per natura sono anticoformista, dopo che tutti quelli che conoscevo avevano optato per invitare tizia o caio a questo pseudo splatter in 3D, alla fine mi ero fatto accompagnare dalle due persone piú brillanti e fascinose che conosca: me e me stesso.
Ad accoglierci, una sorta di Jason Myers in salsa emiliana, che dopo averci disgutato raccontandoci di aver appena assaggiato qualcosa che arrivava dalla saletta in cui di lí a poco saremo entrati, ci mostrava orgoglioso i ferri del mestiere.
Quel che ne seguiva era abbastanza bizzarro. Perchè mentre l'anatomopatologo iniziava a sezionare quel poco che restava di un povero vecchietto finito sotto un'auto, una buona metá dei presenti, iniziava a svenire o a dare di stomaco. La bizzarria, appunto, era rappresentata dal fatto che a cadere per primi fossero stati gli studenti di medicina, mentre noi giuristi al contrario, mantenevamo una certa soliditá di stomaco. Ma non di nervi. Tanto che tale Maurizio da Mantova, dopo una battutaccia sul tiramisú, nel vedere la calotta cranica del vecchio scoperchiata, si appoggiava alla porta d'ingresso ed andava giú in verticale, sotto lo sguardo attonito della morettina con cui intrallazzava. David, impassibile, continuava a fare il maniaco con la biondina, incurante del fatto che l'alito della stessa puzzasse ben di piú del cadavere che avevamo di fronte. Io mi annoiavo. E a dirla tutta trovavo terribilmente ingiusto che tutti tranne me avessero qualcuno con cui interloquire. Poi ho visto lei. Che stava per dare di stomaco come metá degli astanti, ma era bella al di là di qualsiasi definizione, anche con una mano sulla bocca ed il viso stravolto. Occhi e capelli corvini, pelle di porcellana ed un generosissimo decolletè. Io ed i miei ormoni ci eravamo rimasti secchi. Seguiva un approccio, tenero e goffo come puó essere solo quello di un ventunenne venuto dal paesello con una ragazza di città, per giunta piú grande di lui. A distanza di anni ci rido un po sú, se ripenso a quella situazione. Cosí come quel giorno interpretavo i suoi spasmi da nausea come risate alle mie brillanti battute, nei mesi seguenti mi sarei incapponito a credere di poter ottenere da quella ragazza una lunga e meravigliosa storia d'amore. Ma cosí non era. Perchè Alice era una profumiera (termine particolarmente in voga al tempo per indicare una che -cit- "te la fa annusare senza dartela") ed io, per restare in tema, una cane da tartufi con l'olfatto scombinato. Diletta, la matta di cui sopra, me l'aveva detto da subito: GAME OVER, amico mio, quando si metterà con te nevicherà all'inferno!
Ma come mio solito, forse mosso da un'incrollabile fiducia nella metereologia applicata ai sentimenti proseguivo in questa folle corsa. Arrivavo a presentarmi davanti al negozio dove lei lavorava con una rosa in mano e, peggio ancora, danzare su di un cubo con lei avvinghiata addosso (per inciso: odio ballare, odio le discoteche ed anche i parallelepipedi mi stanno un filo sulle scatole).
La magia si rompeva quando, pochi mesi piú tardi, lei mi faceva la classica domanda che una persona prossima all'innamoramento spera di non sentirsi mai rivolgere: "Ma non sarà mica vera questa storia che ti piaccio?! Non voglio certo rovinare una cosí bella amicizia". Evitavo con molta eleganza di darle la risposta che avrebbe meritato (bitch) eclissandomi dalla realtà per un paio di mesi. In fondo lo diceva anche Gianni Agnelli: ci si innamora a vent'anni, dopo si innamorano soltanto le cameriere. Ed io avevo seguito il verbo, idealizzando sulle note distorte del cuore questa persona cosí estranea al mio mondo. La sofferenza per quel rifiuto si rarefaceva nei cinque mesi che seguivano, brillantemente esemplificata da una frase del mio amico G., che oltre ad avere delle serie riserve su Alice, contestava la mia decisione di aver troncato, per correrle dietro, la mia relazione con una ragazza di nome Cristiana. "Tu" mi diceva, "sei il maestro supremo delle cazzate in buona fede, perchè per correttezza hai mollato una che era persa di te, per correr dietro a quella là che già sapevi non ci sarebbe stata. Avevi la Ferrari, ti sei fermato al semaforo e hai visto una Subaru. Hai dato via per poco la tua sportiva italiana e non sei riuscito a comprare una berlinetta giapponese per tamarri. Adesso, caro mio, giri in monopattino e te lo fai pure piacere".
Passavano sette anni e una mattina di febbraio da quella frase. Il tempo per ritrovare il suo sguardo e forse anche una piccola parte di me, poco dopo l'ingresso della sezione civile, tra la guardiola della vigilanza e le iscrizioni a ruolo. Non so a quale dei miei sfaccendati neuroni dare la colpa per averle rivelato che in Studio serviva disperatamente una civilista, ma so che la scelta apparentemente suicida di sponsorizzarla addirittura col capo portava il mio marchio di fabbrica. Questo accadeva piú di due anni fa. Anni, passati a lavorare gomito a gomito, a litigare, a ridere, a confidarsi, creando un menage professionale di tutto rispetto.
Ma, soprattutto a fare delle scoperte sconvolgenti. Perchè se vivi per nove ore al giorno con una che ti ha rifilato un bel due di picche, per giunta dopo averti dato un bel pó di corda per giocare all'impiccato, finisci col diventare il suo confidente, scoperchiando quel metafisico Vaso di Pandora in cui si rivoltano le tue peggiori paure. Cosí dopo lunghi anni passati nella convinzione di non essere abbastanza per una cosí, scopri di avere al contrario qualcosa di troppo. Nell'ordine dei venti centimetri. Di altezza, non siate maliziosi!
Perchè a lei piacciono i nani. Incredibile ma vero. Sindrome da Biancaneve o complesso Edipico rovesciato che dir si voglia io avevo la brutta abitudine di presentarmi sul cavallo bianco quando, au contraire, le regole del gioco imponevano il minipony.
Un paio di loro, particolarmente corrucciati, si sono presentati sabato alla sua festa di nozze.
I centosessantadue centimetri di sposo saranno al quanto remunerativi, per lei, che nello scambio ha guadagnato una festa post matrimonio da quarantamila euri, un diamante che sarà costato la vita a sei o sette minatori ed una grande villa, nel cui parco si è svolto il ricevimento. Ci fossero stati gli altri quattro, avrei preso da parte lo sposo per allinearli di fronte al laghetto.

mercoledì 18 luglio 2012

Il passo e l'incanto

L'umore è ai minimi storici oggi. Per colpa di mio padre, che continua a comportarsi come un bambino e a non accettare quello che è successo. Del tipografo, che si ostina a cambiare secondo i propri gusti la frase che doveva essere rappresentativa del vissuto di mia madre. Delle di lei amiche zitelle, che ritenevano la stessa eccessivamente azzardata e volevano sostituire il mio tagliente epitaffio baricchiano con una nenia di De Filippo. Con tutti quelli (e non sono pochi) che continuano a darmi il consiglio giusto, quando avrei solo bisogno di un silenzio sbagliato.
Il mio rapporto con l'idea di cambiamento è sempre stato contraddittorio. Perchè se una parte di me insegue perennemente il sogno di un'altrove magicamente sospeso, l'altra avversa ogni variazione dello status quo.
E così  adesso mi ritrovo metaforicamente piantato davanti ad un incrocio privo di segnali stradali, magari su una di quelle strade di campagna che mi ricordano gli anni in cui ero bambino.
A dirla tutta una via l'avrei anche imboccata, decidendo di andare a vivere con la persona che da tre anni rende la mia vita un posto migliore. 
Nuova città, nuova casa e nuovo lavoro (work in progress sotto questo versante). Praticamente ho richiamato in panchina la mia vecchia vita per sostituirla con un qualcosa di nuovo ed indefinito.
Resta sempre il problema di lasciarsi dietro quella bella parentesi ricompresa tra i venti e i trenta. Fatta di attimi e di respiri cristallizzati sul ritmo che ti danno gli amici. Quelli veri.
Ecco, alla fine il rimpianto più grosso  consiste nel tracciare una linea di separazione tra me e loro. Centotrenta chilometri non sembrano tanti, ma in realtà sono sufficienti a farti diventare un pò più grigio e adulto, nel senso più deteriore del termine.
Le serate assieme non erano più le stesse da un bel pezzo a dire il vero. Sempre più stanchi, sempre più occupati e in definitiva meno felici. Non parlo di infelicità in senso stretto del termine, ma di perdita della magia che fino a qualche anno fa pervadeva ogni serata, quando uscivi di casa alle sette di sera senza sapere se, quando e in che condizioni saresti tornato. 
Ma adesso non è più così. Arrivato al giro dei boa dei trenta hai sempre delle ottime scuse per non concedere all'amicizia il tempo che merita. C'è la vita di coppia, il lavoro o la falsa necessità del riposo da una vita che più che stancare stressa. 
Non che non ci si veda ogni tanto. Ma il tutto si riduce ad una cena contornata da relative morose al sabato, piuttosto che ad una pizza mangiata di straforo al martedì dopo il calcetto. Da quì a definire Leone un gatto domestico ce ne passa però. 
La soluzione non c'è, anche se voltar pagina può aiutare, pur con tutte le contraddizioni del caso.
Odio gli addii. Quelli che se solo fossi un pò meno pigro potrebbero tranquillamentre suonare come arrivederci. Ma certi cambiamenti implicano distanze chilometriche  lunghe anni luce e telefonate che si fanno via via più sporadiche.
Onestamente non so cosà dirò per congedarmi. Dagli amici, dallo Studio e un  pò anche da me stesso. Tutti pensano che tra qualche settimana tornerò alla mia vita di tutti i giorni, fatta di mattinate a correre tra le aule di un Tribunale e pomeriggi a centellinare  parole altisonanti e articoli del codice di fronte a uno schermo del pc.
Ma arrivato al bivio, stavolta, ho capito che era proprio il momento d'imboccare una nuova strada. 
Con un buon numero di dubbi e la consapevolezza di aver dato retta all'istinto più che alla regione mi accingo ad affrontare questo nuovo viaggio. 
A prescindere dagli esiti e accantonando i rimpianti mi conforta l'idea che al mondo c'è solo un viaggio che non prevede alcun biglietto di ritorno. E non si tratta, fortunatamente del mio caso.




domenica 15 luglio 2012

Stereotipizzando

Tanto normale se cresci in un paesello di diecimila anime, per giunta nelle zone interne di un'isola, non lo sarai mai. Questa è una premessa necessaria.
Capita poi che ti emancipi, nel senso che vai a studiare/lavorare sullo stivale, magari  tra le pianure del nord, dove se non tutto, quantomeno parecchio di quello che vedi ti costringe a riempire di punti interrogativi (ed esclamativi) il capitolo che ti accingi a scrivere.
Tra i miei difetti peggiori c'è la gelosia, ma questa credo sia ascrivibile alla mia patologica condizione di figlio unico, viziato, ipercoccolato e, ai tempi d'oro, con una dotazione di giocattoli da fare invidia a qualsiasi futuro e ipotetico erede al trono.
Poi ho dei clichè, intesi  come stereotipi sedimentatisi nel mio emisfero cerebrale grazie all'ambiente e a quella che i più sono soliti chiamare esperienza. Ma non li annovero tra i difetti. Piuttosto come una caratteristica intrinseca della mia persona, come quei vecchi fuoristrada di una volta che sull'asfalto erano lenti ed impacciati, ma nel fango e nella neve non ce n'era per nessuno. Più che limitati specialistici, proprio perchè, chi li aveva progettati ne ipotizzava un utilizzo parabellico.
A volte, però, questi provincialissimi stereotipi condizionano la mia visione del mondo, offrendomi chiavi di lettura comicamente sbagliate, almeno in ordine alle aspettative che mi creo in relazione alle situazioni di fatto.
Sono moderatamente geloso della persona che sta con me. Non parlo di scenate e cose varie, ma di una sana dose di condivisione. Io so con chi vai e tu sai con chi vado. Universale, chiaro e semplice, senza menate da femminismo ante litteram o veteromaschilismo al suono del "se ti fidi di me non deve interessarti con chi esco".
 Sarò anche retrogrado, ma il mio manuale d'istruzioni contempla solo parole come conoscenza e condivisione, pur nel rispetto dei relativi microcosmi affettivi, intesi come spazi in cui coltivare la propria socialità al di fuori del rapporto.
Forse per questo ho sempre guardato con una certa riluttanza la figura dei/delle migliori amici/amiche. 
Sono dei vorrei ma non posso in senso materiale, delle negazioni bilaterali di sentimenti non corrisposti, una continua mina vagante, per qualsiasi rapporto certificato col bollino blù delle relazioni "serie".
La figura del migliore amico è il "servo della gleba" che cantavano Elio e le Storie Tese. O, nella peggiore delle ipotesi, una talpa intenta a scavare un cunicolo proprio sotto le fondamenta del rapporto. Tu sei l'invasore che minaccia quello che per anni era stato un suo protettorato. Lui è il figlio cadetto che non potrà mai salire al trono. Dev'essere necessariamente guerra. Punto.
Stanti i motivi di cui in narrativa, quando la morosa di turno se ne usciva nominando il best friend di turno, in me suonava una sorta di campanello d'allarme. Chi cadrà per primo? Domanda ricorrente. Anche perchè in queste situazioni sei sempre il secondo arrivato. 





 Così, non più di tre anni fa, sentendomi invitare dalla mia lei alla festa di tale Marco, la mia domanda è sorta spontanea e minacciosa:

Io: -Chi è costui?-
Lei:-Il ragazzo di Nicola-
Io:-Nicole, volevi dire Nicole?-
Lei:-No, Nicola, da Bari.-
Io:-Eh?!- (espressione di estrema sorpresa)
Lei:-Cosa vorresti dire?!- (Muscoli facciali tesi=pericolo)
Io:-Ah, ok- (aria conciliante)

Posto che non avessi la benchè minima idea di chi accidente fosse Nicola, quattro ore dopo (scusatemi ma sono un pò lento) realizzavo che nella concitazione degli eventi avevo risposto affermativamente all'invito per il primo gay-party della mia vita.
Come alla ruota della fortuna, avevo comprato una A credendo fosse una E. O qualcosa di simile. Nel senso che nel mio piccolo mondo fatto di provincialismi mai mi ero figurato l'idea di una coppia tanto atipica. Quantomeno in relazione agli schemi mentali tipici di uno originario del paesello dove tutti conoscono tutti. 
I giorni successivi -ricerca del regalo a parte- trascorrevano tra parossistiche figurazioni mentali su quel che sarebbe potuto accadere. Tipo Village People che cantavano in salotto o corpulenti marinai alla JPG ammassati all'ingresso. 
Encomiabile ad un paio d'ore dall'inizio delle celebrazioni la telefonata pre-cena con mio papà:
Lui:-Ehi? Com'è che chiami tanto presto stasera?!-
Io:-Ho una festa.... di compleanno.-
Lui:- Ah, bello, di chi?-
Io:-Marco, il ragazzo di Nicola...- (e adesso rido, mi son detto)
Lui:-Oh santo cielo! Cosa ti  è successo?!-
Io:- Mi hanno invitato...Ma tu, scusa, non eri di sinistra?-
Lui:- Certo, cosa credi? Era giusto per sapere ma...Sono proprio tuoi amici?!-
Io- In realtà sono amici della mia bella. Ma sai com'è...-
Lui:-Ah, ok. Divertitevi. Ma non fare tardi. Anzi, dopo chiamami ok?!-
Io:-Verosimilmente rientrerò dopo mezzanotte, sei sicuro?!-
Lui:-Ma domani lavori!-
Io:-Domani è Domenica-.
Lui:-Accidenti. Vabbè, chiamami lo stesso e cerca di rientrare presto, mi sembri stanco.-

Non è mai tornato sull'argomento, il mio vecchio, ma sono sicuro che da allora, si ponga delle preoccupate domande sulla mia vita notturna. 
Alla fine poi alla festa  siamo anche andati, nel senso che mi hanno caricato in macchina  dopo avermi bendato e fatto fare tre giri su me stesso (scherzo!).
All'ingresso ci attendeva il padrone di casa, con un fantastico grembiule a fiori ed un vassoio di risotto ai gamberetti.
Avevano scoperto in anticipo la mia più grande debolezza: il cibo. Praticamente la mia già modesta socialità a quel punto ha alzato bandiera bianca, di fronte ad un buffet pantagruelico sul quale mi sono fiondato senza troppi complimenti. 
La fauna festante, era naturalmente variegata. C'era Nicola, con  una camicia a fiori ed un foulard da dandy. Più defilata una presunta coppia etero, in cui lei ardeva per lui di un'amore impossibile, che di rimando non trovava il coraggio di fare coming out. Un inquietante personaggio di quasi due metri, che con chiari riferimenti calcisitici avevo ribattezzato Ibragay, continuava a seguirmi in giro per casa, lanciandomi delle occhiate poco rassicuranti. 
Date le circostanze, quindi, mi ero prudenzialmente sistemato su un gruppetto di sedie di fianco al tavolo del buffet, assieme a tale Andrea, che al pari del sottoscritto aveva dovuto accompagnare la sua dolce metà alla festa.
A un certo punto mi ha spiegato che in mezzo a tutta quella marea umana c'era uno che occasionalmente faceva la Drag Queen nei locali e che non sarei mai stato in grado di individuarlo.
Erroneamente convinto di possedere un Gay-radar sufficientemente affidabile cannavo ben otto possibili alternative, prima di arrendermi e chiedere chi fosse mr X. 




"Vedi quello la in fondo?" mi diceva lui. "Certo che lo vedo, quello è assolutamente etero!" rispondevo io. Non lo era. Neanche un pò. Ed era pure fidanzato con un tizio palestratissimo e canottierato.
Insomma, stereotipi o meno sono tornato a casa sazio quella sera. Che poi per la settimana successiva abbia continuato a controllare con un certo disagio di non esser pedinato dal sosia del maledetto svedese è un'altra storia. 
L'ultimo capodanno l'abbiamo passato assieme. Non io e Ibragay naturalmente. Perchè la mia bella ha invitato a casa nostra alcuni dei membri della festa. Purtroppo uno di loro era a dieta, quindi molto meno cibo dell'altra volta per me.Estremo dolore.
Marco ha molto apprezzato la mia giacca e Nicola...Beh, lui continuava a vestirsi come il cantante dei Baustelle. Al quinto bicchiere di prosecco ho domandato al Drag Queen part-time quale inquadramento contrattuale gli garantisse il proprietario del locale in cui si esibiva. Inutile dire che la mia dolce metà mi ha tirato un calcio sotto al tavolo, tanto per gradire. Ma io sono una persona indiscreta e non mi fermo di certo per uno stinco infranto. 
Quando a metà serata, credevo di essermi finalmente liberato dei miei provincialissimi cliché, succedeva qualcosa di televisivamente paradigmatico. Marco si appropriava del telecomando e ci costringeva  a vedere la Carrà. 
Meno male che per Natale mi ero regalato l'Ipad.