lunedì 27 agosto 2012

Sembra ieri

Me l'avessero detto un anno fa di tutti questi stravolgimenti, credo avrei preso a calci il mio interlocutore e proncunciato qualche frase solenne sulla follia della gente. Ma questo 2012 che per me di normale ha proprio poco, ha deciso di scrivere sulla lavagna dei ricordi la parola rivoluzione a caratteri cubitali, utilizzando i toni piú accesi del rosso.
Verosimilmente dalla settimana prossima si cambia tutto. Casa, città e lavoro, non senza rimpianti, ma con la consapevolezza che non si sarebbe potuto fare diversamente, tenuto conto delle circostanze. Pertanto, quelli che mi lascio alle spalle sono gli ultimi giorni passati a stretto contatto con le persone che per dieci anni hanno rappresentato la mia famiglia putativa lontano da casa. È impressionante come un arco di tempo cosí lungo possa scorrere tanto velocemente, lasciando dietro di se affetti, ricordi ed esperienze, ma anche un grande senso di vuoto. Quello che ho provato sabato mattina, stipando a bordo di due auto di medie dimensioni quanto accumulato dal 2001 ad oggi. Ogni abito cosí come ogni oggetto era legato ad un periodo, figlio di una qualche situazione intrisa, a propria volta, di quel senso della vita che per me resterà sempre un grosso punto interrogativo. C'era il bambolotto gonfiabile con cui mi hanno costretto a girare il giorno della laurea, la cravatta
porta fortuna per le udienze importanti, quel regalo trash di Cristiana, una testa divina con sotto inciso Zeus a cui lei, con arguzia, aveva aggiunto a pennarello "la capa di..."
Cose che in fondo manco sapevo di avere, evocative di sceneggiature in cui io, protagonista assoluto, incontro una Guest Star del periodo X della mia vita, faccio evolvere il nostro rapporto e poi da spettatore annoiato osservo i titoli di coda, in barba ai sentimenti ed ai buoni propositi.
Cose scritte, rigorosamente a mano ed in bella copia. Lettere di qualcuno che non c'è piú, come le istruzioni di mio nonno vergate su di un vecchio calendario, un quaderno con un "ti voglio bene" griffato mamma ed appoggiato sulla scrivania mentre dormivo, in una primissima mattina di febbraio. Lettere della persona che a distanza di quattro anni riempie ancora troppi momenti di vuoto nella mia schematica esistenza.
Il verbale della prima causa vinta, un articolo di giornale col mio nome ed un coltello della seconda guerra mondiale comprato in un mercatino delle pulci e abbandonato in un cassetto, in attesa magari di un terzo conflitto.
Cosa proveró tra meno di una settimana nel chiudermi la porta dietro le spalle sapendo che non torneró piú quí? Difficile dirlo. Perchè è già straziante convivere con l'aria da afflizione generale che regna tra le persone che conosco e non comprendono la mia decisione di cambiare aria. Dal mio capo, che perde il suo golden boy low cost ad F., che se non si è messo a piangere poco ci manca. I rapporti umani, in fondo, sono delle formule piú o meno bilanciate di egoismo, in cui a turno figuriamo come sfruttatori o sfruttati. Per questo nel dirigermi verso una rotta non meglio evidenziata provo un piacevole sollievo, dato dal fatto che dopo dieci anni molte cose si rompono ed aggiustarle non ha piú senso. La riflessione finale è che tutto comincia come non te lo aspetti, si evolve come non immagini e finisce spesso come non vorresti.
Me ne vado in silenzio senza salutare. Odio gli addii, quantomeno perchè dovrebbero essere circoscritti all'ambito tanatologico o essere ribattezzati come "arrivederci con facoltà di recesso". Ma cosí non è purtroppo. A raccontarla fino in fondo poi mi è mancato nel corso degli ultimi mesi quel sostegno di cui avevo assoluto bisogno. Ma è piú una motivazione contestuale che un capo d'imputazione specifico. Che poi si sia trattato di assoluzione con formula piena o dubitativa è tutt'altra storia. Non di condanna comunque.

"Still a little bit of your taste in my mouth
Still a little bit of you laced with my doubt
Still a little hard to say what's going on"






2 commenti:

  1. Certe volte penso che lasciare la mia casa universitaria, un giorno, sarà un po' un trauma. E ci vivo da soli quattro anni.
    Stare per dieci anni in un posto, costruire tutto lì e poi lasciarlo deve essere qualcosa di inspiegabile. Penso che solo chi prova certe cose può capire.

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  2. Se mai dovesse giungere quel momento anche per te, sappi che sará tutto molto piú naturale di quanto potresti immaginare. Spesso è il destino o chi per lui a suggerirti metaforicamente di cambiare aria e quando lo fai senti come una vocina interiore che rassicura del fatto che un nuovo capitolo della storia sia in lavorazione. Il trucco è non affezionarsi troppo all'immagine residua di sé.

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