venerdì 28 settembre 2012

Question of timing

Ultimo passaggio a Parma, giusto per regolare un paio di faccende professionali ancora in bilico, salutare gli amici di sempre ed andare  a mangiare qualcosa da Frank Focaccia.
....Ed incontrare di nuovo quegli occhi. Dopo soli tre mesi e forse, in un certo senso dopo tre lunghi anni.
La ragazza dal sorriso di perla ha i capelli più corti adesso.
Camminava di fronte a me nella via degli antiquari, con una borsa dalle trame etno curiosamente portata a spalla. Camminava  e sorrideva, nel raccontare non so quale mirabile storia all'amica che le stava accanto. Non ho avuto il coraggio di superarla, perchè facendomi vedere avrei interrotto la magia del momento, perdendo le variazioni del suo sorriso sotto la luce di pesca del tramonto.
La voce interiore degli insalubri consigli mi sussurrava di seguirla, camminando ancora per qualche centinaio di metri oltre la mia originaria destinazione. Ma così non doveva e non poteva essere, per una serie di ragioni ovvie, che circoscrivono le fascinazioni al campo dei desideri irrealizzabili. Così ho infilato il portone di casa, convinto di scrivere la parola fine ad un capitolo intitolato "ipotesi di remota verificazione".
Ma quì entra in gioco Frank Focaccia, che oltre ad essere la mia seconda panineria preferita della città è anche una delle mete d'elezione per i nostri pranzi infrasettimanali.
Come da tradizione arrivo a questi incontri sempre trafelato, con la cravatta allentata, la giacca appesa al braccio destro e l'incedere furioso di chi ha avuto una mattinata vissuta al limite delle possibilità umane.
Così mentre cercavo di infilarmi nell'accrocchio di sedie che da sul plateatico esterno,  provavo per una frazione di secondo quella strana sensazione che si ha nell'intravedere la sagoma di un'altra persona su una spiaggia completamente deserta.
E quando F. qualche minuto dopo, mi chiedeva incuriosito se conoscessi la ragazza che due tavoli dietro al nostro continuava a fissarmi, rischiavo neanche tanto metaforicamente di cascare dalla sedia.
Perchè avevo la netta percezione che si trattasse di lei ancor prima di vederla e a ben pensarci, non avevo grandi idee su quale atteggiamento sarebbe stato più consono adottare.
In fondo, se sei strafidanzato ed innamorato non ha un gran senso sottoporre al vaglio della realtà una seppur magnifica aspettativa.
Così mi limitavo a guardare F. e terminavo senza troppa soddisfazione il mio pranzo.
Al momento di andar via le passavo accanto cercando di dare l'impressione di chi è troppo preso dai propri pensieri per dare un peso specifico al resto del mondo, non potendo però fare a meno di ascoltare il suono della sua voce. Una cosa nuova e particolare anche per me.
Poi, qualche passo dopo mi fermavo e volgevo irrazionalmente lo sguardo nella sua direzione. Mi osservava e sorrideva, accompagnando ogni mio passo con quegli occhi e quel sorriso che per trenta secondi buoni riprendevano a danzare con la mia anima. 









venerdì 14 settembre 2012

Un reality da condominio

Mia madre diceva che ero, sono e saró sempre un impiccione, circostanza che per una serie di motivi non potró mai smentire. Aggiungiamo poi che ho sempre avuto degli amici pettegoli, tipo comari o giú di lí, roba che il poveretto di turno non aveva neanche voltato l'angolo e subito si scatenava una ridda di commenti taglienti e gossip da format pomeridiano. Errare è umano in fondo e come il riccio che amoreggiava con la spazzola continuo a ripetere che farlo mi fa sentire divino...
Nuova vita e nuova casa per il sottoscritto, come peraltro già anticipato nei precedenti post ed inevitabilmente, nuovi vicini. Intransigenti,decisamente intransigenti. Roba che per cambiare la targhetta sul campanello ho dovuto sottostare ai diktat dell'amministratore e farla dello stesso colore e carattere degli altri o, peggio ancora, subire le delazioni di qualche simpatico dirimpettaio per aver parcheggiato la macchina sotto casa pur essendo sprovvisto di permesso e, consequenzialmente, vedere arrivare un vigile taccuino munito ad applicare sulla mia persona, la dura lex sed lex del Codice della Strada. Vabbè, respiro profondo e passiamo oltre, anche perchè questa new way of my life offre degli spunti narrativi a dir poco interessanti. Il personaggio piú baritonale si trova sul pianetottolo ed è anche il padrone di casa. Oltre ad essere l'unico toscano di destra che abbia conosciuto in vita mia è pure logorroico. Ma non cosí, tanto per dire. È un'autentica macchina da guerra sprovvista del tasto mute. Entrare a casa sua equivale a giocarsi un intero pomeriggio durante il quale elencherà ogni singolo successo professionale della propria esistenza, condendo il tutto con tediosissimi aneddoti di carattere personale. Non accontentandosi soltanto di massacrare i miei gioelli di famiglia con monologhi da Dittatore sudamericano, tra la rievocazione di un miracolo e l'altro butta sempre lí, neanche troppo a caso, un invettiva contro il fancazzismo dei giovani d'oggi, contrapponendolo alla frenesia operativa dei suoi tempi. Che l'altra sera dev'essersela un pó presa quando gli ho detto che se mi lasciasse i suoi soldi, che a trenta saprei e potrei spendere, gli cederei di cuore il mio presente professionale in profondo rosso, tanto per fargli provare l'ebbrezza del rischio -concreto- di non arrivare a fine mese.
Tutto ció premesso va poi detto che attorno a questo personaggio ruotano le vicende del palazzo. Da un lato, infatti, ha una questione aperta con la coppia di mezza età del piano di sotto per il dominio sui parcheggi interni, con tanto di ripetuti ed incrociati tentativi, dopo la dipartita della precedente proprietaria, di acquistare l'appartamento del piano ammezzato, per poi giocare il jolly dei millesimi aggiuntivi in sede di assemblea condominiale. Di questa cortina di ferro il sottoscritto non poteva che giovarsi, con lui che mi concede il posto auto abusivo nel giardino condominiale tanto per dare fastidio ai suoi nemici storici. Che a propra volta anno una questione aperta con l'asilo nido al piano terra, reo di ostruire l'uscita dai parcheggi con le processioni di genitori motorizzati che vengono a ritirare, come al Mcdrive, stormi di pargoli urlanti. Esemplificando, stasera la signora, che ha il peso specifico del mercurio, ha iniziato a tediare tre papà che, incolonnati le avrebbero potuto (n.b. Condizionale) ostruire l'uscita. L'ultimo, tra il tredicesimo e il quattordicesimo rimbrotto, ha deciso di prendere il toro (ehm... la signora) per le corna: "Brutta vecchiaccia, ma non riesci a tacere?! Per farti star zitta dobbiamo smetter di far figli per poi essere colonizzati dai musulmani?!" Calava il silenzio, con la signora attonita, il papà paonazzo ed il sottoscritto che abbarbicato in terrazza si chiedeva se l'ultima parte di quella frase, dati i recenti accadimenti internazionali, non ci avrebbe esposto qualche forma di rappresaglia. Silenzio peró destinato a durare ben poco, interrotto dalla gatta del piano di sopra. Maria Paola. Non che abbia mai compreso quale folle meccanismo possa spingere le persone a dare dei nomi da cristiani agli animali domestici (cosí come quindici anni fa alle superiori, non capivo perchè tale Sig. Murru avesse deciso di chiamare sua figlia Marylin), fatto sta che la micia è causa di forti contrasti tra le due coppie rivali e la tizia del piano di sopra. Il perchè è presto detto: la padrona della gatta parte per le vacanze abbandondonando la bestiola al proprio destino. La bestiola riempie di riordini le scale interne del condominio e miagola pedissequamente.
Nota di merito per i personaggi ancor piú spassosi del palazxo d fronte tra cui:
-Manager appena tagliato da tale Mina (che deve essere uno stronzo da competizione) e periodicamente chiama il suo ghigliottinatore per ottenere una secinda chance, salvo finire sempre col minacciarlo in aniera neanche troppo velata"
-Vecchia ultraottantenne che mi fa ciao ciao con la manina e sorride maliziosa (da sempre questa è la fascia d'età in cui il mio fascino dinoccolato riscuote maggiori successi...)
-Potenziale maniaco sessuale con riporto che gira mutandato sul terrazzino a ore 9.15
-Studentessa universitaria che si è quasi buttata dal terzo piano nel tentativo di capire che libro stessi leggendo
-coppia esibizionista con lei che tene le finestre del bagno aperte nelle fasi che precedono la doccia e lui che fa pesi di fronte alla finestra
-inquietante cicciona che occultata dietro alla tapparella del soggiorno osserva tutto e tutti...
Insomma, alla fine un pó impiccione lo sono, ma che ci posso fare se da neanche una settimana, dopo dieci anni di finestra sul giardino interno, mi ritrovo con ben due terrazze che danno su due stade diverse?!
Certe novità, in fondo possono dare alla testa...

domenica 9 settembre 2012

Il malato immaginario

I matrimoni non si celebrano mai di domenica. Chissà poi perchè. Magari per le zitelle che per quel giorno voglio la chiesa libera, per i catecumeni della prima comunione o i cresimandi ante litteram. Fatto stà che supposizioni a parte sono stato invitato al secondo matrimonio in meno di un mese. Roba che neanche Hugh Grant o Vince Vaughn, tanto per citare due più o meno recenti trasposizioni cinematografiche. Il leit motiv corrispondeva grossomodo alla mia ultima partecipazione nuziale, con lui scemo ma non ricco e lei ricca ma non particolarmente avveduta nella scelta. Chiesetta della provincia lombarda, ubicata in uno di quei paeselli dal nome impossibile dimenticato da Dio e dagli uomini. Trattori che sfrecciano davanti alla chiesa, prete mezzo ubriaco alle undici di mattina e duecento invitati malamente assortiti: un discreto esercito di medici per lei, un nutrito elenco di agricoli per lui e tanti tanti parenti.
In questa storia io sono il ragazzo di una delle amiche, quello che prega Dio, Buddha e Allah in occasione del lancio del bouquet e dopo aver simulato un fasullo interesse per gli addobbi si fionda come un aquila sul buffet.
Ricapitolando. Sveglia alle otto, in pedissequa attesa che lei andasse e tornasse dal parrucchiere e loro, intesi come gli amici autoinstallatisi in salotto dalla sera prima liberassero il bagno. Doccia e colazione, con tanto di delizioso frappè preparato dal sottoscritto e mai abbastanza apprezzato dal pubblico in sala. A seguire la prima dolorosa scoperta: i nostri ospiti notturni sarebbero ripartiti subito dopo pranzo, ergo niente passaggio scroccato ed il sottoscritto costretto a fare una delle cose che odia di piú: prender su la macchina nel giorno di festa. Oh cribbio. Vabbè, chiave nel quadro, mettiamo in drive e la Wrangler parte, mentre mi arrivano oscure indicazioni su come arrivare al paesello, che al nostro arrivo ha un che di Silent Hill in salsa lumbard. Una vecchia, dall'aria allegrotta, mi fa cenno di parcheggiare nella sua cascina, azzerando le mie perplessità e la paura di essere rincorso, al ritorno, da un signore attempato con canotta e forcone.
Ci attende una chiesa addobbata a festa, a riprova del fatto che il papá della sposa è il ras del paese e per il fatidico giorno ha deciso di non badare a spese. La palma del peggiore, manco a dirlo se la becca prima dell'inizio il testimone dello sposo, fasciato in un abito color senape che grida ancora vendetta. Della cerimonia vedo ben poco, nel senso che lei mi abbandona su di una sedia di fronte a una colonna e lí mi eclisso, udendo a random qualcuna delle apocalittiche previsioni del prete alticcio. All'uscita, i rigidi criteri organizzativi della giornata mi fanno sobbalzare. Qualcuno si è preoccupato di redigere una mappa per trovare il castello dove si svolgerà il ricevimento, in versione sia grafica che testuale e non pago ha distribuito agli astanti "bombe" di riso e coccarde. Mentre mi riprendo da cotanto choc, abituato come sono all'organizzazione made at home delle nozze sarde, inizio a squagliarmi. Perchè il fresco di lana risulta esser tale nell'ombra di una chiesetta rupestre, ma molto meno confortevole sotto il sole cocente di mezzogiorno, soprattutto se gli sposini non si decidono a uscire. Partiamo, infine, con una gaia coppietta che si offre di guidare il resto della carovana negli intricati venticinque chilometri che ci separano dal rinfresco. Pessimo errore quello di affidarsi a quei due, che a senso dell'orientamento stanno messi come quel professore tedesco di nome Halzheimer. La strada si allunga di parecchi chilometri, coi nostri sprovveduti capicomitiva che costringono il gruppo a circumnavigare la provincia, con aggravio di fame e consumi. Alla fine peró si arriva lo stesso, col sottoscritto che nella foga di occupare un posto vicino all'ingresso rischia di arrotare un paio di bambini, che per inciso se la sarebbero meritata! Il posto merita, anche se non oso pensare quanto sia costato al ricco padre della sposa. Meraviglioso castello medioevale con giardino all'italiana e camerieri in livrea, che ci danno il benvenuto con un menú tanto insolito quanto disarticolato. Il preantipasto si compone di Focacia e Salame di Varzi(che adoro) Feta e Olive (che non disprezzo) Sushi (che tollero) e nouvelle cuisine (ossia pesce crudo con macedonia di frutta e verdura, che odio...). Inutile dire che una volta coinvolti nei miei loschi traffici un ortopedico ed un rianimatore mi piazzo davanti al tavolo degli aperitivi ed inizio a darci sotto, conscio del fatto che quel che seguirà sarà sul noiosetto andante e il giusto grado alcoolico mi consentirà una costruttiva accettazione degli eventi. Pagato il riscatto al fotografo e liberati gli sposi, alle ore 13 e 12 minuti primi del giorno del Signore 8 settembre 2012 ci si dirige (finalmente) verso la sala da pranzo.
Ogni tavolo aveva il titolo di un film. Giuro! Ed il sottoscritto stava seduto al "Malato Immaginario", con tanto di nome stampato in bella vista sulla locandina. Ripresomi dallo choc di una cosí perversa organizzazione, interiorizzato lo smacco di aver visto il tavolo "Amici Miei" ad una pletora di personaggi senza stile, iniziavo a dar corpo alla mia fama da mangiatore da competizione. Adoro il buon cibo ed il buon vino e, a dirla tutta, sono un convinto assertore del motto "meglio campar sazi che morire sani". Che poi data la massiccia presenza di medici in sala, farsi andare qualcosa di traverso non sarebbe stata una grande idea, perchè, litigando su chi e come sarebbe dovuto intervenire sul paziente avrebbero finito col causare il mio prematuro trapasso. Tre antipasti, altrettanti primi, due secondi e tris di dolci, il tutto condito da fiumi di vino e una certa noia. Perchè i medici sono simpatici i primi venti minuti e poi iniziano a parlare di medicina. Senza piú fermarsi. Cosí mentre la mia bella spiegava al suo gaio amico come infilare un catetere ad un vecchio ed il resto della tavolata sparlava di un collega che aveva caricato un certo filmino moolto personale sul web, io scambiavo frasi di circostanza con una tizia di Varese dagli occhi vacui. E mi rompevo solennemente los cojones. Tanto che tra un rosso ed un bianco trovavo delle somiglianze incredibili. Con lo sposo che sembrava il Dott. Chilton de "Il silenzio degli innocenti" mentre il fratello della sposa era pari pari al Trota Bossi. Tra i tavoli si aggirava anche un nano, inquietantemente simile al cattivo di "Austin Powers", probabilmente scappato dal giardino di un pervertito onanista dato che ad ogni passaggio dello sposo alzava il calice e proferiva solo e soltanto la parola Caxxxo. Inutile dire che il pranzo si protraeva fino alle sette e mezza di sera, col sottoscritto che prendeva a spallate una vecchia per accaparrarsi dei confetti, mentre un tristissimo cantante sulla sessantina, ingaggiato dai genitori dello sposo, scimmiottava penosamente Jim Morrison, che in tutta risposta, da qualche parte, si sarà rivoltato nella tomba.
Seguiva, il lancio del bouquet, con buonaparte delle amiche della sposa che schivavano il fatidico mazzo quasi fosse una granata mentre, tale Isabella, che piú realisticamente chiameremo Isabrutta, si esibiva in un triplo carpiato con avvitamento per acchiappare la sua falsa speranza quotidiana.
La storia del giorno finisce quí senza ulterori sussulti. Evviva gli sposi!